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Sito dell'Associazione Italiana per lo Studio e Ricerca sui Comportamenti Violenti -CRCV- Italy. ---------- Violent Behavior and Prevention Research Center - VBRC -Au-- Lorenzi Alfredo, Neurobiol, Neurosc.Human Behavior Biosincr - Basil--Davis CA -- Karin Hofmann, Phd Aggressive Behavior--Au

Analisi di un fenomeno sociale e psicopatologico: Muccioli e la Comunità San Patrignano. Corso Neurosc.Comport. Lorenzi 1 parte

Breve premessa: il dibattito di questo pomeriggio verte solamente su aspetti
La 2a parte è qui
http://psicov.blogspot.it/2013/04/analisi-di-un-fenomeno-sociale-e.html

propri della materia che noi siamo soliti frequentare, cioè la psicologia e psichiatria e non ha niente a che vedere con altri aspetti quali la legge, la giustizia,  la religione, la moralità, e le proprietà e attributi sociali delle persone coinvolte.

Certo, non possiamo esimerci dal tentare una descrizione delle personalità, perché questa è proprio uno specifico della nostra conoscenza e competenza. Diversamente, si farebbero solo osservazioni o di tipo giuridico (e non è il nostro campo) o sociologico (e anche questo non è un campo specifico, quanto un'area in cui tutti si sentono, spesso a sproposito, capaci di poter parlare) o peggio moralistico, aspetto dal quale siamo lontani anni luce.

Allora, se Silvia vuole accendersi il gelato e iniziare a leggere la sentenza del tribunale di Rimini del 1984, per i fatti che sono stato denunciati, vedremo in modo del tutto rocambolesco e periferico (una moglie che si sente abbandonata dal coniuge), come si giunge a una sentenza direi che praticamente approda al nulla o quasi, per vari motivi e situazioni (amnistia), che per la mole dei reati accertati (in California, per sequestro di persona fino a tutti gli anni '50 si rischiava il collo e non in senso figurato...), avrebbe richiesto anni di misure rieducative, tutto il retroterra che coinvolge l'associazione a carattere religioso e medianico, la cooperativa e le pratiche che erano esercitate durante la seconda metà degli anni settanta e fino al momento della indagine e degli arresti (fine anno 1980, ma le denunce continuano e anche le attività di diciamo contenzione forzata), nella località della collina già denominata San Patrignano, con un significato al momento non proprio identico a quello che assumerà poi, ma nemmeno tanto differente. Il termine qui è

 IL CENACOLO.   


Nota: per chi non glielafa, può saltare e passare ai commenti sotto... Comunque, una scorsa a questa lunga e forse noiosa carta giudiziaria, può permettervi di farvi un'idea abbastanza precisa (forse), di quanto lamentato dalle persone accolte e trattate nella cooperativa San Patrignano, dai suoi albori ai primi anni dell'ottanta.

   
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI RIMINI


composto dai Magistrati Signori
Dott. Gino Dott. Pierleone Dott. Ottavia RIGHI
Presidente estensore FOCHESSATI Giudice FERRARI ACCIAJOLI Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale
CONTRO
Reg. Sent. N. 88 N. 554/83 Reg. gen.
SENTENZA
in data 16.2.1985 depositata in cancelleria
il 25.3.1985 II Cancelliere

1)MUCCIOLI Vincenzo, nato il 6.1.1934 a Rimini, residente a Coriano Frazici ne Ospedaletto via S. Patrignano n. 141.
- ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il
1.12.1980. PRESENTE -
2) Cacciatore Adriano, nato il 18.8.1938 a Genova, res.te a Rimini, via paolucci
n. 44, elett.te dom.to in Ospedaletto di Coriano, via S. Patrignano n.
141.
- ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.12.
1980. PRESENTE -
3) CANINI Giulio, nato il 23.3.1945 a Milano, res.te ad Ospedaletto di Corica
no via S. Patrignano n. 141.
-ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.12. 1980. PRESENTE •
4) PUGLIESE Antonio, nato il 10.1.1937 a S. Fioro, res.te a Rimini via
Bastioni Settentrionali, n... 65
- ARRESTAO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.12
1980. PRESENTE -
5) VILLA Mauro, nato il 18.4.1948 a Rho, ivi res.te via Carraccio n. 9,
elett.te dom.to presso la sorella Annida in Dal Santo via Perfetti n. 1 Rho.
- ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.12.
1980.PRESENTE -
6) Bernardi Alberto Giorgio Maria, nato il 14.2.59 a Milano, res.te a Sesto
.".S. Giovanni viale:Matteotti n;,404, elett.te dom.to in Coriano via S.
Patrignano n. 141.
- ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.12.
1980. PRESENTE -
7) LOTTI Egidio, nato a Civitella di Romagna il 21.3.1941, res.te a Cesena
via Carlo Ferini n. 180, elett.te dom.to in Coriano via S. Patrignano
n. 141.
- ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.12.
1980. PRESENTE -
8) POMA Carlo, nato a Cesena 1'8.6.1952, ivi res.te via Manzoni n. 44.
- ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.10.
1980. PRESENTE -
9) DI LAURO Paolo, nato il 20.9.1956 a Milano, ivi res.te via Leoncavallo
n. 17, elet.te dom.to in Coriano via S. Patrignano n. 141.
ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.12.
1980. PRESENTE -
-2-
10) GHIOTTI Marino, nato il 25.11.1953 ad Acquaviva di S. Marino ivi res_i_ dente fraz. GUaldicciolo via Consolare n. 98, elett.te dom.to in Coriano via S Patrignano n. 141.
- ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.
12.1980. PRESENTE –

11)PALMIERI Antonio, nato il 23.3.1957 a Milano, residente ivi via Pascarella n. 30, elett.te dom.to a Coriano via S. Patrignano n. 141.
- ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.12.1980. PRESENTE -
12) GIANNATEMPO Francesco, nato il 9.6.1954 a Cerignola, res.te a Cesena
viale Marconi n. 526.
- ARRESTATO il 28.10.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.
12.1980. PRESENTE -
13) SCOZZARI Angelo Giuseppe, nato il 2.6.1946 a Ribera, res.te a Longiano
via Fontanazze n. 50, elett.te dom.to in Coriano via S. Patrignano n. 141.
- ARRESTATO IL 10.11.1980, Scarcerato ed in Libertà Provvisoria il 1°.
12.1980.PRESENTE -
14) BERTONI Gabriele, nato a fori! il 4.1.1958, ivi res.te via Ravegnani n. 215, elett.te dom.to in Coriano via S. Patrignano n. 141.
- ARRESTATO il 10.11.1980, Scarcerato ed il Libertà Provvisoria il 1°.
12.1980. PRESENTE -

IMPUTATI I PRIMI  12:
A) del reato di cui agli art. 112 N. 1 e 605': 81 C.P. per avere, in concorso materiale e morale e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, privato della libertà personale incatenandoli con catene e lucchetti o rinchiudendoli in luoghi malsani e ricattandoli an che con violenza quando riuscivano a scappare Cesarini Maria Rosa, Rubini Luciano, Costi Marco Marcelle, Sola Massimo, Farneti Mauro e tale Castone non ancora identificato.
Accertato in Rimini il 28.10.1980.
B) del reato di cui agli art. 81, 112 n.1 e 572 C.P. per avere, in concorso materiale e morale e in esecuzione di un medesimo disegno, maltrattato le persone di cui sopra, che a loro si erano affidate per ragioni di assistenza, provocando a tutti perturbamenti psichici e ciò sottoponendoli ad un regime di sorveglianza disumano e umiliante, mediante incatenamento, segregazione in canili o piccionaie e morti ficazione continua della loro personalità.
. Accertato in Rimini come sopra.
C) del reato di cui agli art. 112 n. 1, 348 e 81 C.P. per avere, in concorso tra loro e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, abusivamente esercitato la professione medica e psichiatrica, diagnosti cando malattie, curandole con somministrazione di erba e di altre te rapie, segregando i "malati" quando ritenevano che non fossero "luci di di mente".
In Rimini, fino al 28.10.1980.
IL CANINI INOLTRE:
del reato di cui all'art. 582 C.P. per avere, colpendolo con un pezzo-3-

di legno perché si ribellava all’incatenamento, cagionato a BARGIOTTI LEO NARDO lesioni personali volontarie guaribili in gg. 12. Accertato in Rimini, come sopra.

E) del reato di cui agli art. 582, 577, 585 C. P. per avere cagionato alla moglie TUSINO Maria Teresa lesioni personali guaribili in giorni 8.
In Rimini, querela del 19.9.1978.
F) del reato di cui all'art. 570 C.P. per essersi, abbandonando il domicilio coniugale per seguire il MUCCIOLI che identifica in un" nuovo Cristo" e facendo mancare i mezzi di sussistenza alla moglie e a tre figli minori, sottratto agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà.
In Rimini, fino al 28.10.1980.
IL MUCCIOLI INOLTRE:
G) del reato di cui agli art. 81, 640, 61 n. 7 C.P. per avere con il raggiro di presentarsi come il medium di una non meglio definita entità ( e procurandosi con un trincetto delle stigmate per dare credibilità maggiore aT-1'affermazione ) e di rappresentare il nome di tale entità la necessità di beneficiare persone bisognose, indotto in errore CAMOSETTI BRUNO, PIE RI GUERRINO ed altri "fedeli" i quali consentivano che le offerte raccolte e le loro contribuzioni fossero versate ai bisognosi ( indicati nelle persone di ERMETI CARLA, CECCOLI PIETRO e di un non ancora identificato signore di Bologna); mentre in realtà la ERMETÌ ed il CECCOLI hanno negato qualsiasi beneficenza da una parte, ed alcuni assegni risultano incassati dal MUCCIOLI e dalla sua zia MUCCIOLI BOMBARDINI SERAFINA dall'altra. E per avere ulteriormente indotto in errore il CAMOSETTI, il PIERI e gli altri "fedeli", rappresentando il desiderio della Entità di stabilire la sede sulla "Collina Benedetta", per cui tutti si trasferivano nella si:a tenu ta di S. PATRIGNANO e gratuitamente prestavano la loro opera nella annes sa vigna ribattezzata "LA VIGNA DEL' SIGNORE".
In Rimini fino a denuncia del 9.10.1978 (CAMOSETTI) e del 6.11 1978 (PIE RI).
H) del reato di cui all'art. 661 C.P per avere, con i comportamenti di cui al capo precedente e lanciando anatemi nei confronti di quelli che ab bandonavano la comunità, abusato della credulità popolare con turbamento dell'ordine pubblico giacché il CANINI abbandonava la moglie ed i figli (Capo D ed F), il PIERI veniva abbandonato dalla moglie ed altri lascia vano le loro attività per unirsi al c.d. "CENACOLO".

MUCCIOLI - CACCIATORE - GIANNATEMPO - SCOZZARI:
I) del reato di cui agli art. 110, 605 C.P. per avere, in concorso, privato MOROSINI PAOLO della libertà personale tenendolo prigioniero e guardato -a vista in una stanza nonostante che lo stesso, più volte collassato, invocasse di essere trasportato in ospedale e per di più manomettendo il congegno elettrico della sua autovettura. In S. Patrignano il 26.12.1979.
SCOZZARI ANGELO GIUSEPPE:
L) del reato di cui agli art. 112n.1 e 348 C.P. per avere, insieme agli altri ed in concorso, abusivamente esercitato la professione medica dia gnosticando e curando malattie con infusi di erbe ed altre terapie. In S. Patrignano, denuncia del 29.12.1979.

MUCCIOLI VINCENZO, CANINI GIULIO, BERNARDI ALBERTO, BERTONI GABRIELE
M) del reato di cui agli art. 110, 81, 605 C.P. per avere, in concorso tra -4-
loro ed in particolare il' Muccioli dando disposizioni e gli altri materiali_ mente eseguendole, privato della libertà personale TURCO CLAUDIO, BRASOLA ROBERTO e SCHIAPPA PAOLO DAVIDE rincorrendoli fino alla stazione di Rimini (dopo che erano fuggiti dalla Comune di S. Patrignano) catturandoli e ri portandoli contro la loro volontà nel posto dal quale erano scappati.
N) del reato di cui agli articoli 110, 582 C.P. per avere in concorso tra lo ro cagionato a TURCO CLAUDIO lesioni personali guaribili in giorni 4 e ciò allo scopo di eseguire il reato di cui sub A) e di tenerlo occultato impe dendo al Turco una nuova fuga (art 61 n. 2 C.P.). Accertato in Rimini il 18.9.1980.
0) del reato di cui agli artt. 110, 348 C.P. per avere, in concorso tra loro, diagnosticando malattie e prescrivendo terapie esercitato abusivamente la professione medica. Accertato in Rimini il 18.9.1980.


MUCCIOLI VINCENZO:
P) del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 605 C.P. per avere privato della li' berta personale STANZIONE MARIA e GABALLO LIVIA facendole rinchiudere, rispettivamente, in un tino e in un locale denominato "ex piccionaia".
Q) del reato di cui agli art. 81 cpv., 572 C.P. per avere maltrattato STANZIONE MARIA e GABALLO LIVIA, minorenni, entrambe affidate a lui per ra gioni di vigilanza percuotendole, ingiuriandole pubblicamente, sottoponendole a "castighi" sproporzionati e pretendendo, quanto alla Gabello, di incidere nel suo carattere "forgiandola" contro gli eventuali pericoli della vita.
R) del reato di cui all'art. 348 C.P. per avere abusivamente esercitato la professione medica. In Coriano, nel maggio - giugno 1981.

A TUTTI GLI IMPUTATI:

del reato di cui agli artt. 112 n. 1, 605, 81 C.P. per avere, in concorso ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, privato della libertà personale:
Bargiotti Leonardo, malato di mente, incatenandolo con catene e lucchet ti e rinchiudendolo in un canile il 20.10.1980;
Tenan Maurizio, incatenandolo in un pollaio, il 20.10.1980;
Patrignani Ambra, che non era tossicodipendente segregandola per due vol te (per un giorno e per altri 15 giorni consecutivi) in epoca compresa tra
l'agosto e il settembre 1981, benché avesse una gamba ingessata e fosse portatrice di stampelle;
Melodia Alessandro, rinchiudendolo in una botte di cemento, in epoca suc cessiva ali'8.5.1982;
Certo Sergio, non meglio identificato, segregandolo in un canile tra il gennaio 1982 ed il 20.4.1982;
Tale Perla e tale Elisabetta, non meglio identificata serrandola in una piccionaia e nelle lavanderia per un periodo imprecisato, in epoca compresa tra il 4.4.1981 ed il 31.8.81;
Tale Betta e tale Danilo non meglio identificati. Segregandoli in una
cella frigorifera in disuso, per un periodo non accertato, in epoca succes siva all’ aprile 1981;
Certa Sonia di Milano, imprigionandola per 20 giorni in una piccionaia;
data successiva all'aprile 1981;
- Casarini Monica segregandola in uno stanzino, nel periodo compreso tra l'aprile 1981 e l'agosto 1982.


5 - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Conatto in data 29.9.1978 Tusino Maria Teresa sporgeva denuncia ,' e con testuale querela contro il marito Canini Giulio asserendo che questi, con il pretesto di voler vivere in umiltà e abbandonare i beni terreni, si era trasferito in S. Patrignano di Coriano nel podere di tale Muccioli Vincenzo che aveva costituito intorno a sé una comunità di fedeli. Tale comunità si prefiggeva la comunione dei beni, l'assoluta castità nei rapporti sessuali e il versamento dei vari introiti nelle mani del Muccioli il quale, a suo dire, li avrebbe distribuiti a famiglie biso gnose.
Aggiungeva la Tusino che, avendo rifiutato di seguire il marito, era ri masta con i figli minori, finchè un giorno il Canini, pretendendo di prendere con sé il figlioletto Marco di soli sei mesi, al di lei rifiuto, la aveva aggredita e percossa procurandole lesioni guarite in giorni otto. In successivi esposti all'autorità giudiziaria la Tusino precisava anche che il marito le aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza, costringen dola così ad una vita di privazioni.
In data 19.10.1978 Camosetti Bruno denunziava al Procuratore della Re pubblica in Rimini che, nell'inverno del 1976, insieme ad alcuni amici, aveva partecipato in casa di certo Luciano Rossi (oggi deceduto) in via Aponia di Rimini a sedute medianiche tenute dal Muccioli Vincenzo, che appariva dotato di notevole facoltà'' di suggestione.
Il Muccioli, quando era in stato di trance, affermava, (secondo il Camo setti, che presentò due memoriali successivamente alla denuncia) di essere la reincarnazione di Cristo, raccogliendo così intorno a sé numerosi adepti che erano stati persuasi a loro volta di essere discepoli di Ge sù. La comunità, denominata il"Cenacolo", successivamente da via Aponia si era trasferita in Coriano, frazione Ospedaletto, in un podere di pro prietà dello stesso Muccioli, dove questi, attribuendosi la qualità di Nuovo Cristo predicava la comunione dei beni con la ricostituzione in S. Patrignano delle rispettive attività già svolte nella vita civile. Gli introiti di tali attività, insieme alle contribuzioni ricevute da co loro che si sottoponevano alle cure pranoterapeutiche praticate dagli adepti e ammontanti a varie decine di milioni all'anno, venivano versate al Muc cioli il quale aveva progettato di destinarle a famiglie bisognose. Precisava che il Muccioli, il quale si era così conquistato, mercé la sua forza di suggestione, un grande ascendente sui frequentatori di S.Patri gnano, imponeva tra l'altro ai suoi discepoli di lavorare nella sua vigna denominata "la vigna del Signore" ubicata sul colle di S. Patrignano ri battezzato la "collina benedetta" unico lembo di terra destinato a sal varsi dai prossimi inevitabili cataclismi.
Gli adepti, allora, fortemente impressionati, avevano iniziato a a bandi re (a differenza del Muccioli)'la carne dalle loro vivande, accudivano diligentemente al lavoro nelle strutture del podere, all'allevamento dei cani e dei cigni di un laghetto, "il tutto a maggior gloria di Dio nel cielo e di Muccioli in terra".
Il Muccioli mostrava anche "stigmate" sulle mani, sul costato e sui piedi si trattava tuttavia di piccoli graffi che, secondo il denunciante erano praticati a mezzo di una lametta da barba: infatti era stato visto prima di una seduta entrare in bagno privo di tali segni e uscirne poi con gli: stessi. In altra occasione il Muccioli aveva rafforzato nei discepoli la convinzione dei suoi poteri ultraterreni "tramutando l'acqua in vino", esperimento realizzato certamente mediante un espediente chimico. In merito alle contribuzioni ricevute dal Muccioli il Camosetti specifi cava che una famiglia di Ospedaletto di Coriano, indicata proprio dal Muccioli come beneficiarla della somma di L.8.000.000 all'uopo versatagli d; fedeli, in realtà non aveva percepito alcunché.
Concludeva infine il denunciante chiedendo che l'Autorità Giudiziaria esperisse tutte le indagini necessarie per addivenire eventualmente alla punizione del Muccioli, in relazione ai fatti da lui esposti.
Di quanto nel frattempo si verificava in S. Patrignano riferi vano i carabinieri di Coriano con rapporto 12.1.1980 (fascicolo 9519 F.52) ai quali era stato consegnato da una persona, che aveva voluto serbare l'incognito, un biglietto, contenuto in una scatola di fiammife ri vuota trovata all'esterno della comunità, del seguente tenore: "Sono prigioniero di queste persone. Telefonate alla polizia o ai Carabinieri. Ho già avuto sette collassi e sto malissimo per piacere chiamate la po lizia. Prego, grazie".
I militari, fatta irruzione in tale istituzione, trovavano, all'interno
di una stanzetta, tal Morosini Paolo di circa trent'anni, il quale si di chiarava autore del biglietto e aggiungeva di essere trattenuto in quel luogo contro la sua volontà, precisando che le sue reiterate richieste
di dimissione erano state respinte; per il più gli operatori della comu nità, per frustrare ogni tentativo di fuga, avevano disattivato l'impian to elettrico della sua auto Fiat 500. Tale circostanza veniva constatata dai militari che, peraltro, raccoglievano la deposizione, del Morosini in apposito verbale (f.56 fascicolo 9519).
Altro rapporto perveniva in data 20 settembre 1980 (fascicolo 139/80 R.I.) dai Carabinieri di Riccione, i quali, avendo avuto il giorno pre cedente notizie della fuga di tre giovani dalla Comunità di S. Patrigna no e intendendo esperire indagini su alcuni reati commessi nella zona, si erano portati presso la Cooperativa ed avevano appreso che i tre fug giaschi (nel frattempo rientrati nella istituzione) rispondevano ai no mi di Turco Claudio, Brasola Roberto e Schiappa Davide. I militari, quindi, accompagnavano i sunnominati in caserma per i necessari accertamenti. Espletati gli incombenti, e appurata la loro estraneità dalla perpetra zione dei reati su cui si indagava, i Carabinieri avevano: manifestato l'intenzione di ricondurli tutti a S. Patrignano, ma i giovani implorava no di essere lasciati liberi e di non essere comunque riportati nella comunità del Muccioli. Mentre il Brasola e lo Schiappa si rifiutavano di indicare le ragioni del loro disperato rifiuto, il Turco dichiarava che, essendo ospite da qualche tempo di S. Patrignano, aveva fatto pre sente al Muccioli di voler andar via, ma che, per tutta risposta costui gli aveva fatto presente che doveva restare nella Comune e che qualora si fosse allontanato ve lo avrebbe fatto ricondurre a mezzo dei suoi ra gazzi e anche a suon di botte. Aggiungeva il Turco che, la sera del 18 settembre, insieme allo Schiappa e al Brasola era riuscito a fuggire ed a portarsi alla stazione ferroviaria di Rimini dove, però, subito raggiunto da alcuni operatori di S. Patrignano, era stato malmenato e ca ricato in macchina. 
Poco dopo anche il Brasola e lo Schiappa venivano acciuffati. Ricondotti in comunità, venivano portati davanti al Muccio li, il quale dopo aver inveito contro di loro, ed in particolare contro esso Turco con vari epiteti ingiuriosi, lo colpiva con calci e pugni procurandogli lesioni guaribili in giorni quattro (v. certificato medico f. 4 fascicolo 139/80), minacciando altresì di chiuderlo in una botte "per punizione della sua fuga e della sua contestazione". 

Il 28 ottobre 1980 Cesarini Maria Rosa fuggita da S. Patrignano segnala va al Commissariato di P.S. di Fori che nella comunità vi erano altri ragazzi segregati ed incatenati. Gli agenti, al comando del dr. Giuliano, effettuavano, subito, un'irruzione e rinvenivano Sola Massimo, Costi Marco Marcelle, Rubini Luciano e Bargiotti Leonardo/rinchiusi ed incate nati nei luoghi e nei modi risultanti dai rilievi fotografici (f.29 fa scicolo 137/80).

Provvedevano a liberarli prontamente e procedevano all'arresto del Muccioli e degli altri imputati. Il Bargiotti veniva co me gli altri ragazzi munito di foglio di via e avviato a Firenze, città di sua residenza. Per ragioni rimaste oscure egli però partiva verso il nord e veniva trovato sulla massicciata della ferrovia nei pressi di Castelfranco Emilia agonizzante. Moriva due giorni a Modena e cioè il 30 ottobre 1980.
Il giorno stesso della irruzione, il Procuratore della Repubblica di Rimini, Dr. Arturo di Crecchie, procedeva ad ispezione della comuni tà di ,S. Patrignano ed in particolare dei luoghi dove erano stati rinvenuti rinchiusi ed incatenati i giovani summenzionati. Il P.M. quindi iniziava la istruzione sommaria provvedendo ad interrogare gli imputati ed alcuni testimoni, indi la istruttoria veniva forma lizzata. Il Giudice Istruttore procedeva ai primi atti;- il 1° dicem bre 1980 concedeva a tutti la libertà provvisoria in ordine ai reati ascritti, ad eccezione di quello di sequestro di persona relativamente al quale emetteva ordine di scarcerazione per sopravvenuta mancanza di sufficienti indizi di colpevolezza.
Nel corso della istruzione formale, e precisamente il 4 maggio 1981, i Carabinieri di Coriano trasmettevano una denunzia presentata il gior no prima da certa Stanzione Maria, la quale si era presentata sponta neamente in caserma ed aveva dichiarato di essere stata ospite di S. Patrignanao per circa un mese e di essere stata maltrattata, picchia ta con pugni e calci dal Muccioli, il quale la aveva rinchiusa in una botte di cemento legandola ad un piede con una catena (fascicolo 642/81 Reg.Gen. Procura della Repubblica allegato al 137/80).

Il giorno 26.6.1981 un'altra giovane, Gaballo Livia, si presentava al Commissariato di P.S. di Rimini, assumendo di essere fuggita da S. Patrignano, dove era entrata nell'aprile 1981 pur non essendo tossico dipendente, ma a ciò convinta dai genitori preoccupati dal fatto che era consumatrice di canapa indiana. La ragazza aggiungeva di aver visto il Muccioli picchiare ferocemente gli ospiti che cercavano di opporsi ai suoi metodi e di aver visto dei giovani rinchiusi in  " piccionaia", Progettata la fuga con un'altra compagna e, venuta la cosa a conoscen za del Muccioli, questi la aveva più volte insultata, accusandola di recare dissidio e fermento nella comunità . Alle di lei insistenze per andarsene, lo stesso l'aveva colpita con due schiaffi facendola cadere a terra, quindi, non appena rialzata, l'aveva ancora percossa con altri due schiaffi ed un calcio, cagionandole lesioni al setto nasale (v. certificato medico a f. 11 del fascicolo 89/81 A allegato al fascicolo 137/80). Poi era stata a suo dire, rinchiusa in piccionaia dove era rimasta per due giorni senza cibo. La Gaballo nell'occasione riferiva veri episodi di segregazione e di maltrattamenti subiti da altri ospi ti della comunità di cui indicava però solo il prenome.

Con ordinanza in data 9 maggio 1982, il Giudice Istruttore "ritenuta la necessità di disporre indagini dirette ad acquisire elementi in or dine alla struttura alla metodologia e all'efficacia educativa della comunità per il recupero dei tossicodipendenti posta/in essere dagli imputati ed all'incidenza su di esse degli aspetti coercitivi che for mano oggetto del procedimento, al fine di valutare l'elemento soggetti vo e le modalità delle condotte criminose loro ascritte" disponeva pe rizia collegiale interdisciplinare nominando all'uopo sette ausiliari, cui veniva conferito il relativo incarico depositato ad opera dei periti il richiesto elaborato, il Giudice Istruttore, con ordinanza in data 26/1/1983, (f.648 fascicolo 137/80) su conforme parere del P.M., ordinava "alla Cooperativa di S. Patrignano in persona del suo presi dente, protempore e a Muccioli Vincenzo di non accogliere altre persone nell'ambito della Cooperativa dalla data della notifica del provvedimento". Il magistrato disponeva che copia dell'ordinanza fosse trasmessa all'assessore regionale alla Sanità e a vari uffici giudiziari del distretto.
L'istruttoria, si concludeva, con ordinanza, in data 10 dicembre 1983, di rinvio a giudizio dinnanzi al Tribunale di Rimini di tutti gli im putati indicati in rubrica in ordine ai reati loro ascritti nei man dati emessi nel corso della istruzione.

-8-
Gli imputati quindi venivano citati a giudizio dinnanzi al Tribunale di Rimi mini per l'udienza del 12 novembre 1984.
Al dibattimento, pregiudizialmente, i difensori eccepivano la nullità degli atti istruttori "fino alla comunicazione giudiziaria ricevuta dal Muccioli e dell'ordinanza di rinvio a giudizio relativamente agli addebiti di cui ai capi G) ed H) della rubrica nonché la nullità delle trascrizioni delle sedute medianiche di cui alle bobine di tali sedute".

Il Tribunale, con ordinanza di che in atti, dichiarava la inutilizzabilità e gli atti compiuti e delegati alla polizia giudiziaria prima del 6.10.79 quanto al procedimento 9519/80 riunito al 137/80 e respingeva invece ogni eccezione.
Gli imputati, interrogati ammettevano sostanzialmente la materialità dei fatti loro contestati, ma si protestavano innocenti.
(Nota Lorenzi: credo di capire che ammettevano di aver eseguito tali azioni, ma intendevano dire che erano poste in essere nell'interesse e per le finalità dell'attività comunitaria: credo di capire e questa è comunque la tipologia di ammissione che troviamo in tutti i casi al mondo in cui ricorrono queste querelle).

All'udienza del 14 novembre 1984 il P.M. chiedeva contestarsi a tutti il rea to di cui agli articoli 112 n. 1, 605, 81 C.P. per avere in concorso tra loro privato della libertà personale Bargiotti Leonardo, Tenan Maurizio, Patrignani Ambra, Melodia Alessandro, certo Sergio, tali Perla e Elisabetta, tali Bet ta e Danilo, certa Sonia di Milano, Casarini Monica, secondo le modalità e le circostanze meglio specificate alla lettera S) della attuale rubrica; nonché agli imputati Muccioli, Cacciatore, Canini, Pugliese, Lotti, Poma, Di Lauro, Ghiotti, Palmieri, Giannatempo, Scozzari e Bertoni lo stesso reato di se questro di persona, per avere in concorso tra loro, e nonostante gli impegni assunti alla vigilia della loro scarcerazione, privato della libertà persona le Ruzzenenti Roberto ammanettandolo e rinchiudendolo con la forza in una stanza, in Coriano in un periodo imprecisato tra il gennaio e l'agosto 1984. Il Presidente effettuava la contestazione e la difesa chiedeva termine che ve niva concesso sino ai 19 novembre 1984.
In tale udienza il Tribunale, di ufficio, con ordinanza in atti, e in merito alla contestazione effettuata il 14 novembre precedente, ordinava la separa zione del procedimento relativo al reato commesso in danno di Ruzzementi Roberto, ferme restando le altre contestazioni suppletiva. Venivano quindi escussi i testi a carico e quelli indotti dalla difesa per un numero complessivo di 177 persone.
Il giorno 14 dicembre 1984 il tribunale effettuava l'ispezione della Comuni tà di S. Patrignano. Indi venivano sentiti in apposita udienza i periti di ufficio e i consulenti tecnici.
Dichiaratosi chiuso il dibattimento, aveva inizio la discussione che si pro traeva dal giorno 11 febbraio 1985 sino al 16 dello stesso mese e nella quale il P.M. e i difensori concludevano come in atti.







MOTIVI DELLA DECISIONE


II Tribunale, prima di ogni altra trattazione, non può non porre in evidenza, sia pur con la dovuta concisione, l'eccezionale interesse che l'attuale vicenda processuale ha suscitato in ogni strato della pubblica opinione. La ragione di tale eco, inconsueta, anche ai nostri giorni, per un dibattito giudiziario, trova innanzitutto la sua principale radice nel fatto che, per la prima volta, in una società preoccupata e sconvolta dal fenomeno della diffusione della droga, gli imputati non sono trafficanti o consumatori di stupefacen ti, bensì componenti una comunità terapeutica che ha per scopo il recupero dei drogati e il loro reinserimento nella vita sociale.
Tale singolarità non solo ha permesso che in molti ambienti, di cui alcuni alta mente qualificati, si sia perso di vista il reale oggetto del procedimento, ma ha provocato persistenti e nocive distorsioni della verità storica e processuale. Continuo e pressante è stato l'interesse della stampa e degli organi di informa zione nazionali e locali, che peraltro, in più di un'occasione, con interventi anche clamorosi, hanno commentato le varie fasi del processo negligendo, tranne alcune sporadiche eccezioni, l'obbiettivo primario della correttezza e della serenità dell'informazione, per far luogo a commenti, in prevalenza parziali, principalmente diretti a fomentare ed accrescere l'emozione popolare. Non estraneo a siffatto clima è rimasto il mondo politico, che dimentico di ogni

dovere di non interferenza nell'operato della magistratura, attraverso suoi nume rosi esponenti, anche estremamente autorevoli, non ha esitato, ad indulgere ad apprezzamenti del tutto favorevoli alla condotta degli imputati, sia rilasciando dichiarazioni a mezzo di vari organi di stampa, sia deponendo nel processo in qualità di testi a discarico, sia non astenendosi in alcuni casi, a dispetto di ogni consi derazione di buon gusto e di stile, e addirittura in udienza, da plateali dimostra zioni di solidarietà verso il Muccioli, principale imputato.
Alla instaurazione di un'atmosfera così/insolita ed altamente esasperata per un di battito processuale sicuramente di grande rilievo, e che proprio per questo doveva, più di ogni altro, rimanere indenne da qualsivoglia indebita ingerenza, ha contri buito non poco la partecipazione, quali testi a difesa, di numerosi magistrati dei vari distretti della Repubblica, che hanno voluto deporre su fatti e situazioni non sempre ricollegabili con le attività che, secondo l'accusa, erano state delittuo samente perpetrate dagli imputati.
Non sorprende allora come una gran parte della pubblica opinione, del resto già fortemente influenzata da un formidabile apparato propagandistico organizzato a favore della posizione degli imputati ed in particolare del Muccioli, abbia morbosamente concentrato la propria attenzione sul processo. Si è giunti cosi ad inscenare varie manifestazioni di aperto dissenso verso i giudici del Collegio, promuovendo persine cortei di protesta che, partendo da varie città d'Italia, si sono arrestati letteralmente sulle soglie del Tribunale per sottolineare, anche con la posizione di aperte minacce, l'esigenza di una giustizia sommaria ed esemplare quale quella che, tanto frequentemente, con la irrazionalità propria delle masse, il popolo intende ottenere II Tribunale soddisfatta cosi la doverosa necessità di un accenno a tale clima di artificiosa e preordinata tensione nel quale si è voluto che tutta la vicenda percor resse il suo non breve cammino, intende, dopo un dibattimento che, a detta della stessa difesa, è stato "civile , pacato ed esauriente", motivare nella più assoluta serenità" e con il dovuto distacco le ragioni che sorreggono la sua decisione.
La sentenza non segna sicuramente la conclusione di un processo "medioevale" come una maggioranza di osservatori, ignorando i fatti di causa e negligendo la loro evidenza, nel tentativo di carpire il consenso di una moltitudine sgomenta e dolen te, ha cercato di far credere. La pronunzia di questo Tribunale, invece, è la riaffermazione dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica in difesa della libertà personale degli umili e dei sofferenti e la condanna di ogni mortificazione degradante della dignità umana.
La trattazione che peraltro non si preannuncia né facile né breve, deve necessaria mente limitarsi ad esaminare se nella condotta degli imputati, siccome esposta nel capo di imputazione siano ravvisabili gli estremi dei reati loro contestati, senza, ovviamente, coinvolgere in un giudizio di responsabilità (del resto impossibile) le Comunità di S. Patrignano delle cui vicende e della cui struttura si dovrà peraltro inevitabilmente far cenno sia pure al limitato fine di meglio comprendere i fatti processuali.
E1 noto che le Comunità terapeutiche nacquero sulla spinta di una critica sociologica del potere esercitato sui malati di mente attraverso la loro esclusione dalla società e, quindi, dalla necessità ideologica di ovviare le gravi conseguenze della istituzionalizzazione. L'obiettivo principale, secondo alcuni autori (Schittar-L’ideologia della comunità terapeutica) era quello di trasformare, in senso umano e demo cratico, lo ospedale psichiatrico, eliminando quelle posizioni di potere che in questo si erano instaurate tra preposti e pazienti. Successivamente, ed allorquando nel mondo moderno dilagò l’uso delle droghe con la contestuale, insorgenza dei feno meni della tossicodipendenza, le comunità iniziarono ad interessarsi, in molteplici casi, della cura e del recupero dei tossicomani. E' su questo tipo di istituzione che il Tribunale vuole focalizzare la sua attenzione, rilevando, in primo luogo, che mentre all'estero le Comunità terapeutiche comparvero alla fine degli anni '40, in Italia esse hanno invece solamente vita e storia estremamente dìù recenti. La Comunità di S. Patriqnano, di cui oggi si discute, fu costituita, con atto Sante Bernardi Fabbrani del 31.10.1979 repertorio n. 2667 n.5392, quale società cooperativa "S. Patrignano Società Cooperati va a.r.l." con sede in Ospedaletto di Coriano. Essa comprendeva inizialmente( e come si vedrà sino al giugno 1984) dodici soci, di cui otto imputati nell'attuale procedimento e cioè Lotti Egidio, Poma Carlo, Canini Giulio, Pugliese Antonio, Giannatempo Fran cesco, Scozzari Giuseppe e Muccioli Vincenzo.
Predicente della Cooperativa, sino al giugno 1984, epoca in cui lo sostituì il Muccioli, fu il geometra Armuzzi Romeo. La società, al di sopra di ogni finalità speculativa, si proponeva: A) la promozione di centri di studio e di assistenza per i tossicomani e i disadattati in genere, al fine di rendere possibile il loro reinserimento nella società; B) la promozione e lo inserimento nella vita attiva di persone con difficoltà di adattamento nella vita sociale derivante da handicap fisici e psichici, "tramite la gestione in forma associativa di un'azienda alla quale gli ospiti avrebbero prestato la loro attività di lavoro onde ottenere continuità di oc cupazione lavorativa e le migliori condizioni economiche e professio nali". .
Il capitale fisso era formato da un numero illimitato di quote del valore nominale di lire 5000 ciascuna.
La Comunità di S. Patrignano , a prescindere dalle suddette generiche caratteristiche statutarie, può essere definita secondo la distinzio ne adottata in materia di comunità dal Cancrini (Cancrini- Studio sulle terapie dei tossicomani. Quei temerari sulle macchine volanti-N.I.S.) una comunità "implicitamente" terapeutica, una struttura cioè che, a differenza di quelle di c.d. esplicitamente terapeutiche, non prevede programmi o fasi, ma si presenta come proposta di vita alter nativa alla società rifiutata dal tossicodipendente che ne viene, così, a far parte accettando di vivere e lavorare all'interno di una microsocietà che contrappone i suoi valori a quelli prevalenti allo esterno e che non prevede, in maniera prestabilita, rientri nella società secondo rigide scadenze. Più in particolare nella Comunità di S. Patrignano (che è una comunità "drug free", cioè dove non si usa droga) valgono talune regole, sia pur molto generiche, che sono state riassunte e descritte nell'opera di Costantini e Mazzoni "Comunità", nonché nel prontuario "... Documenti 83 - Comunità per tossicodipendenti - edito a cura della provincia di Milano 1983", e che sono state riscontrate anche nel corso della lun ga indagine istruttoria e dibattimentale.
I tossicodipendente, per lo più giovani, vengono accolti nell'ente, non dopo il superamento di una fase di accoglienza (come avviene nelle comunità terapeutiche propriamente dette), ma solo in base alla disponi bilità dei posti e senza che sia avvenuta la disassuefazione fisica, ri tenendosi che il superamento della crisi di astinenza in seno alla comu nità costituisca il primo passo per l'instaurarsi di una valida futura vita comunitaria.
Non vengono usati farmaci sostitutivi di sostegno (psicofarmaci) ma prodotti omeopatici e l'agopuntura, provvedendosi nel contempo ad una 
assistenza continua dell'ospite da parte degli operatoti e degli ospiti stessi più anziani.
A S. Patrignano viene represso, per quanto esplicitamente ammesso dagli imputati e per quanto enunciato nella scheda a f. 53 della pubblica zione "Documenti 83" sopra richiamata, l'istinto alla fuga da parte dell'ospite, istinto che sembrerebbe comparire nella seconda fase del trattamento, mediante la cattura del fuggiasco.
Nei primi tempi vi è una rigida censura telefonica ed epistolare e sono vietate le visite dei congiunti, proprio al fine di evitare, almeno in un primo momento, ogni contatto con la famiglia così frequentemente patogena e induttrice della tossicodipendenza.
A S. Patrignano, che pertanto ben può essere definita una "comunità "chiusa" viene fortemente limitato l'uso delle droghe e. d. domestiche
e viene dato notevole risalto al lavoro considerato come lo strumento prin cipale per il cambiamento della personalità del tossicodipendente. Proprio per quanto concerne il lavoro può affermarsi che per tutti gli ospiti che hanno superato i primi periodi dell'adattamento, l'organizzazio ne della giornata si basa su un sistema di regole "che va osservato e che riguarda principalmente il rispetto degli orari e degli impegni di lavoro" (cfr. Costantini e Mazzoni opera citata e la perizia di ufficio). L'orario di lavoro è precisamente determinato in relazione alle varie at tività (oltre 30) che si svolgono nella comunità e che sono quelle osser vate direttamente dal Collegio nella ispezione della località effettuata il 14 dicembre 1984; tra esse emergono l'allevamento di animali delle più varie specie (cavalli, custoditi in attrezzate scuderie, maiali, oltre 900, chiusi in una moderna porcilaia, bovini da latte, e da carne in gran numero, cani e gatti di razze pregiate) un'officina meccanica ben organiz zata, un imponente laboratorio di falegnameria, la coltura di un grande vigneto con produzione di vino da destinare al mercato nazionale ed este ro, un laboratorio di foto-litografia, strutturato in base a criteri mo derni ed un laboratorio di pellicceria che licenzia prodotti finiti assai apprezzati sul mercato interno (v. deposizione testi Sapelli Anna Maria, Anania Giacomo ud. del 10.12.1984).
Esistono inoltre progetti per avviare ulteriori attività (quali, un salu mificio e un carnificio) e per insediare nuove, moderne, ambiziose strut ture, tanto che può ben dirsi, secondo l'espressione usata dal teste on. Luciano Violante, che S. Patrignano è "un'azienda che produce e lavora". La Comunità in questione è caratterizzata dalla presenza di un capo carismatico (il Muccioli) considerato da tutti "come il padre di una grande famiglia e come maestro di vita".
Ciò, bene evidenziato dai periti di ufficio, è trasparso a chiare lettere dal dibattimento e dalla immagine che di sé il Muccioli non ha trascurato di offrire in ogni dove ed in qualsivoglia occasione, tanto che "primaria mente con lui piuttosto che con il gruppo avviene l'identificazione ed è attraverso di essa che avviene la coesione del gruppo e la spinta verso il cambiamento".
Qualora poi si tenga presente che la comunità ospita attualmente oltre 500 persone, ed è in continua espansione sarà facile intuire quali siano l'ascendente e la personalità catalizzatrice di quest'uomo che costituisce il perno ruotante di una cosi importante istituzione.
Da siffatta, seppur sommaria, descrizione della comunità di S.Patrigna no consegue un duplice ordine di considerazioni.

Il primo, diretto ad in quadrare la cooperativa nel complesso sistema delle comunità terapeutiche, ( al fine di confutare l'assunto dei periti di ufficio che hanno sostenu to che S. Patrignano costituisce "un'esperienza insolita e senza confronti nell'ambito delle comunità"; il secondo, rivolto ad esaminare la regola mentazione del lavoro nell'ambito della cooperativa.
Tale secondo punto può, a prima vista, sembrare estraneo alla materia in trattazione, ma, a ben riflettere,(e tenuto anche conto della risonanza che ha avuto l'attuale vicenda in campo nazionale) esso si appalesa di non breve momento per le implicazioni future che può avere, anche con riferimento ad altre Comunità esistenti in Italia , dove il fenomeno è, non solo in fase di grande espansione ma appare tuttora privo di rego lamentazione.
Orbene, i periti di ufficio, come già accennato hanno sostenuto che la cooperativa di S. Patrignano costituisce nell'ambito delle comunità un modello unico privo di riscontri in strutture dello stesso tipo. Per insufficiente conoscenza del problema e forse anche nel tentativo (del resto in gran parte riuscito) di reclamizzare e pubblicizzare oltre ogni misura, l'esperimento di S. Patrignano, i mass media nazionali , in occasionale sintonia con i periti, hanno poi contribuito largamente a corroborare nella opinione dei più una siffatta convinzione. Se non che la Comunità in questione non differisce in misura apprezzabi le quanto a strutture e concezione dagli altri modelli di comunità co nosciute in Italia e all'estero.

Come si è visto, infatti, la Cooperativa di S. Patrignano è una comunità "chiusa" alla pari di tante altre che concepiscono il trattamento dello ospite "a tempo pieno" inserendolo nell'organizzazione per un tempo da determinarsi caso per caso ed evitando ogni contatto del medesimo con l'esterno almeno per il primo periodo dell'ospitalità. A S. Patrigno vengono accolti tossicodipendenti ancora non disuassuefatti -fisicamente, ma il sistema, pur non essendo generalmente condiviso, è adottato in Italia, anche nelle comunità di S. Benedetto al Porto e il Castello di Genova, Le Patriarche di Savona, Ecobase Mondo x di Padre Eligio di Corso Lomellina (Pavia), infine nella Comunità Bersoom di La Spezia dove, tra l'altro, in caso di fuga dello ospite, si provvede al la sua cattura per dimetterlo però definitivamente, dopo un secondo ten tativo di allontanamento.
L'insediamento in località extraurbane e su aggiamento destinato in pre cedenza a unità poderale o a fattoria è estremamente ricorrente, come frequente, anzi pressoché" prevalente, è l'adozione del sistema "drug free" e la rigida limitazione all'interno delle c.d. droghe domestiche-(vino, tabacco in quantità ridotte e controllate, con esclusione del caffè). Diffusa l'adozione di premi per gli ospiti meritevoli e delle punizioni che non osservano le regole della comunità. A S. Patrignano, secondo l'osservazione dei periti, è adottato il '"pubblico biasimo" (cioè il rimprovero impartito dinnanzi alla generalità degli ospiti) che si equivale al sistema della pubblica riprovazione praticato nella Comuni tà Day-top e Synanon americane (la c.d. sedia bollente). Inoltre gran parte delle comunità chiuse sono estremamente gerarchizzate e appaiono ispirate da una forte carica ideologica. In genere tutte han no alla loro testa un capo "carismatico" dalla cui autorità viene regola ta rigidamente la vita comunitaria e al quale tutti fanno riferimento. Siffatta caratteristica è ricordata da più autori (fra tutti M. Barra: Tossicomanie giovanile: tecniche di recupero; Savelle ed. 1982; F. Cap pelli, A. Grassi: "Guida agli interventi nelle tossicodipendenze", il Pensiero scientifico 1982; M. Picchi: Intervista sull'uomo e sulla droga, Bompiani).
L'organizzazione della giornata a S. Patrignano particolarmente intensa e minuziosamente articolata, è poi straordinariamente simile a quella predisposta nei villaggi Day-Top.
La disassuefazione fisica (che culmina nel superamento della crisi di astinenza) avviene qui generalmente "a freddo" senza cioè il sussidio dei farmaci ed il presidio di sanitari, ma solo con il sostegno psicologico ed il calore degli altri ospiti della comunità, cosi come a Synanon ed in altre numerose istituzioni di tal tipo (Cappelli-Grassi, citati). Largamente usata, unitamente alle cure omeopatiche e alla massoterapia, l'agopuntura, che recenti studi hanno indicato quale valido sussidio per il ripristino dell'equilibrio endorfinico nel paziente. Le attività lavorative praticate nella comunità sono (a prescindere dalle dimensioni già in precedenza sottolineate e che a S. Patrignano appaiono in qualche caso addirittura imponenti) quelle svolte in altre comunità e cioè la falegnameria, la litografia o tipografia, la lavorazione delle pelli oltre che quelle tipiche dell'agricoltura e della zootecnia. La Comunità di S. Patrignano è infine, senza dubbio, con i suoi oltre 500 ospiti la più grande di Europa, senza però raggiungere le dimensioni di SYnanon a Santa Monica di California ed eguagliando oggi quelle di al cuni villaggi Day-Top che insediati a New York, già nel 1971 contavano oltre 500 ospiti ciascuno.
Per quanto attiene le attività lavorative svolte, a S. Patrignano, il Tribunale, come dianzi accennato, ritiene assolutamente indispensabili alcune brevi osservazioni.
Da quanto sin qui esposto è emerso chiaramente che all'interno della Cooperativa si esercitano oltre 30 tipi di attività lavorative, il cui fine non è di provvedere esclusivamente all'autoconsumo della organiz zazione, ma precipuamente quello di svolgere iniziative di carattere commerciale con inserimento dei prodotti sui mercati, il che costituisce per ricorrente, esplicita ammissione del Muccioli, un autentico vanto della società.
Il Giudice Istruttore, nel corso della sua indagine, dispose specifici ac certamenti sul complesso di quelle molteplici attività e l'Ispettore del Lavoro evase l'incarico affidatogli con rapporto in data 29.3.1983 (alle gato B faldone 5).
Ora, non si può certamente riconoscere che quel pubblico ufficiale abbia fornito una risposta esauriente e soddisfacente, anche se, occorre dirlo, verosimilmente, egli, non  ha saputo sottrarsi, sia pur inconsapevolmente, alla sempre più pesante atmosfera di intangibilità che protegge da tempo la comunità di S. Patrignano.
Orbene l'Ispettore del lavoro, rilevata l'esistenza in S. Patrignano di numerose iniziative lavorative, ha accertato che la cooperativa aveva regolarmente costituito solo tre posizioni assicurative: la posizione n. 38332 per il settore falegnameria (tre persone a libro paga), la posi zione n. 35192 per il settore litografia (quattro persone a libro paga), la n. 33818 per il settore pellicceria (sei persone a libro paga). Ha aggiunto che, nel corso dei sopralluoghi eseguiti erano stati trovati allo interno dei laboratori suddetti "diversi giovani ospiti della comunità, i quali, a loro dire, si dedicavano alle attività lavorative solo saltuaria mente e in forma del tutto volontaria, senza essere tenuti all'osservanza di un preciso orario di lavoro, senza vincolo di subordinazione e senza percepire alcuna retribuzione, in quanto ospiti della comunità "la quale provvedeva ad ogni loro bisogno".
Presso i vari capannoni adibiti ad allevamento zootecnico l'ispettore ave va poi incontrato altri giovani "più o meno intenti ad accudire il bestia me" i quali gli avevano reso analoghe dichiarazioni.
Risultava inoltre che la comunità non occupava alcun dipendente per accudi re ai servizi di cucina e di pulizia dei locali per cui, rilevata comunque la inesistenza di ogni rapporto di subordinazione tra gli ospiti e la coo perativa, l'ispettore riteneva di "non poter esprimere il proprio parere in merito alla sussistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato" accertamento che "attesa la particolarità del caso, rimetteva alla valutazione del Tribunale.
Tale conclusione, che tra l'altro appare in stridente contrasto con l'esito consueto di altre consimili indagini, condotte sempre all'insegna del più estremo rigore ed in base a criteri oltremodo restrittivi, non può non destare profonda perplessità. Intanto va rilevato che, secondo il bilancio presentato dalla cooperativa per l'esercizio 1982, risultavano presenti in S. Patrignano 232 ospiti (saliti poi a "circa 400" nel 1983) e che, conseguentemente, appare quantomeno singolare che una siffatta congerie di tante varie attività, svolte all'insegna dell'efficientismo e della buona funzionalità, si sia sviluppata e abbia progredito in base all'opera saltua ria e prettamente volontaristica degli addetti ai lavori. Non si vede, poi, come servizi, quali quelli delle cucine, che somministra no1 costantemente almeno tre pasti quotidiani ben confezionati ed abbondan ti per tutta la popolazione della comunità, e quelli delle pulizie, possano essere assolti quotidianamente "in qualche maniera", senza una precisa distribuzione degli incarichi e una rigida osservanza di orario. Altrettanto dicasi per ciò che concerne l'allevamento del bestiame che a S. Patrignano è custodito in moderne, attrezzate e popolatissime stalle. La insignificante rilevanza delle posizioni assicurative riscontrate dallo Ispettore del Lavoro non si giustifica certamente nemmeno con l'assunto che l'attività svolta dagli ospiti di S. Patrignano possa qualificarsi in qual che maniera quale "ergoterapia". E' noto che tale accezione trae origine da una particolare osservazione: in alcune categorie di persone affette da di sturbi di carattere psichico (quali i malati di mente e, come si vedrà, in una certa quale misura, i tossicodipendenti) l'ozio o l'inattività protratti tutta la giornata possono essere causa di aggravamento della malattia o_ comunque di ripensamenti atti ad indebolire precedenti precise determinazioni, per cui si preferisce occupare costoro in una qualunque attività idonea a fru strare la possibilità di consimili ricadute.
Come è stato nella stessa giurisprudenza osservato, non è però necessa rio che l'attività svolta, a scopo essenzialmente curativo, debba necessariamente trasformarsi in lavoro propriamente detto. Quando ciò per altro avviene e la persona occupata impegna le proprie energie intellettuali o fisiche a favore di altri in modo continuo e sistematico con i caratteri della collaborazione e della subordinazione, si è allora di fronte ad un vero e proprio rapporto di lavoro con tutte le conseguenze giuridiche che da questo scaturiscono.
In una situazione cosi delineata non finiranno mai di sorprendere le di chiarazioni rese all'udienza del 3.12.1984 dal segretario generale della U.I.L. Dott. Giorgio Benvenuto indotto dalla difesa. Il teste, infatti, ricordate le sue reiterate visite alla comunità di S. Patrignano ove aveva constatato "come lavoravano i giovani colà ospitati nelle varie attività cui erano addetti ed i risultati da essi così con seguiti", a specifica domanda del P.M., ha affermato che quelle presta zioni di lavoro non potevano essere inquadrate e regolate dalla legislazione attualmente esistente.
Affermando implicitamente che le vigenti normative non potevano trovare applicazione con riferimento alle comunità terapeutiche, il teste ha, evidentemente obliterato sia la natura di cooperativa regolarmente costituita, che è proprio della Comunità di S. Patrignano, sia il carattere " attuale di grande impresa nella quale operano alcune centinaia di unità prive di assistenza infortunistica e previdenziale nonché di qualsiasi retribuzione.
La opinione, del tutto soggettiva, della inapplicabilità delle norme di diritto del lavoro alle Comunità terapeutiche e agli organismi a queste assimilati è peraltro contraddetta dalla osservazione che un tale previlegio non è riconosciuto in nessuna delle pur numerose proposte di legge presentate nella attuale legislatura per il recupero ed il reinseri mento dei tossicodipendenti.
Vi è anzi la proposta n. 1924 del 18.7.1984 (Patuelli-D1Aquino del parti to liberale) la quale, dopo avere previsto allo art. 4, il riconoscimento delle associazioni, enti ed istituzioni senza scopo di lucro idonee alla assistenza socio sanitaria ed alla riabilitazione dei tossicodipendenti, dispone, all'art. 7, che la eventuale attività lavorativa svolta dal ricoverato all'interno dei predetti istituti avvenga in deroga "solamente" alla vigente normativa di collocamento dei lavoratori; che gli eventuali periodi di lavoro attestati dal responsabile legale della associazione sia no riconosciuti figurativamente ai fini del trattamento previdenziale; che la copertura contributiva figurativa per i predetti periodi sia rapportata alla retribuzione minima contrattuale stabilita per la prestazione di la voro svolta. Del resto gli stessi imputati, nell'imminenza del processo, avvedutisi dell'anormalità esistente presso la Cooperativa per quanto atteneva il rapporto di lavoro con gli ospiti, sono corsi prontamente ai ripa ri, elevando nel giugno del 1984 il numero dei soci da 12 a 380 (v. produ zione della difesa al dibattimento) ed includendo tra questi gran parte degli assistiti della Comunità.
Accettare, dunque, una opinione quale quella espressa dal segretario della U.I.L. equivarrebbe a confinare i tossicodipendenti in una situazione ancora peggiore rispetto a quella dei detenuti e dei malati ricoverati nei ma nicomi giudiziari, categorie cui. è garantita, per il lavoro prestato nello ambito delle relative istituzioni, una remunerazione calcolata sulle tariffe sindacali e ogni tutela assicurativa e previdenziale. Venendo ora a trattare direttamente delle imputazioni elevate al Muccioli ed agli altri operatori della Comunità di S. Patrignano il Tribunale, con riferimento ai reati di sequestro di persona e maltrattamenti, si osserva innanzi tutto, in linea di fatto, che, alle ore 0,30 del 28 ottobre 1980, la ventitreenne Maria Rosa Cesarini si presentò alla Squadra mobile della Questura di Fori! denunciando di essere fuggita dalla Comunità di S. Patrignano dopo essere stata rinchiusa per 16 giorni in una piccionaia. La giovane che era eroinomane da tre anni, precisò di essersi volontariamente recata in quella comunità nel mese di agosto 1980, per disintossicarsi, ma alla fine di quello stesso mese, a causa del disagio che ella prova va per la vita della comunità, era fuggita più volte: sempre però era stata raggiunta e riportata a S. Patrignano da giovani appositamente incaricati.
Ella, allora, si era decisa a manifestare al Muccioli la sua ferma vo lontà di allontanarsi definitivamente contestandogli il diritto di ob bligarla a rimanere, ma il Muccioli " qualificatala un pericolo pubbli co per sé e per gli altri " la aveva fatta chiudere a chiave in una "piccionaia" molto angusta e situata all'aperto fra gli alberi. Lì, la Cesarini era, a suo dire, rimasta per sedici gior ni ( dal 20 settembre al 6 ottobre ), dormendo per terra e con una sola breve interruzione al decimo giorno per fa re una doccia.
La ragazza, quindi, lamentandosi per il freddo e simulando ravvedimento, era stata liberata ottenendo di rientrare tra gli altri ospiti, finché, riguadagnata la fiducia degli ope ratori di S. Patrignano, era riuscita definitivamente a fug gire nella notte sul 28 ottobre.
La ragazza, infine, segnalò che, al momento della sua fuga, altri cinque giovani si trovavano segregati ed incatenati da alcuni giorni in locali angusti dalla comunità, quali canili, piccionaie e conigliere.
Allora la Squadra Mobile di Fori i, effettuò una irruzione nella comunità rinvenendo come si è visto già in narrati va quattro giovani rinchiusi ed incatenati. Quali fossero le condizioni dei sunnominati giovani emer ge dai rilievi fotografici (f. 29 fascicolo 137/80 effettua ti dalla P. G. (che provvide anche al sequestro delle cate ne) e che ci hanno fornito immagini tragiche e sconvolgenti. Lo stato dei luoghi dove erano i quattro sequestrati risulta descritto, con sobrietà ed efficacia, nel verbale redatto nel corso della ispezione dei luoghi dal Procuratore della Re pubblica di Rimini nella stessa mattina del 28 ottobre 1980 (F. 1 fascicolo 137/80) e che merita di essere qui, sia pur succintamente ricordato.
Va tenuto presente, tuttavia, che la situazione, al momento dell'ispezione effettuata dal Tribunale il 14 dicembre 1984, è apparsa radicalmente mutata, cosicché i giudici non hanno po tuto individuare, nonostante l'ausilio e la presenza del Com missario dott. Giuliano (che guidò l'operazione del 28 otto bre 1980), i luoghi della avvenuta segregazione, all'infuori della "piccionaia" che appariva tuttavia modificata essendo oggi munita di porta metallica.
Rilevò, tuttavia, allora, il Procuratore della Repubblica che, all'interno della tenuta di S. Patrignano era visibile un pic colo fabbricato rotondo (detto piccionaia) con ingresso della altezza di circa 2 metri e larghezza 1,50 protetto da un can cello di ferro con sbarre e con rete nella parte inferiore. All'interno si notava un piccolo materasso di gomma-piuma con cuscino assai sporco, tre coperte malridotte, quattro bicchieri di plastica, un secondo cuscino.
Sul lato nord appariva una tela di plastica sdrucita e sporca evidentemente distesa quale riparo per il vento proveniente da quella direzione. Sul pavimento di cemento vi era un water nautico e "nell'angolo destro" era infisso nel muro un anello di ferro. Al di sopra di tale locale in una sorta di secondo piano, diviso da un soffitto, vi era la piccionaia propriamente detta. In fondo a un capannone, dove erano custoditi numerosi conigli, galli ne, anatre e piccioni, sorgeva un locale dalle dimensioni di m. 4x7, con alle pareti gabbie per piccioni che vi spaziavano all'interno: sul pavimento pure di cemento, sporco dello stereo degli animali, era collocato un materas so di crine. In un altro capannone, apparentemente ben sistemato all'interno e dove erano ricoverate quattordici roulottes evidentemente abitate, veniva rilevata la presenza di due "piccoli stanzini in mattoni e cemento delle di mensioni di m. 1,80 per 3,50 con una piccola luce verso il mare di m.1,30 x cm. 40 protetta da una inferriata. In uno di questi veniva rinvenuto un let to di ferro con materasso di gomma piuma, tre coperte ed un cuscino sporco, una sedia,, due bicchieri di plastica, un tovagliolo pure di carta ed un wa ter nautico. L'ingresso di tale locale era munito di porta in ferro nella parte inferiore e munita di rete metallica nella parte superiore e assicura ta con un robusto catenaccio.
Il secondo stanzino della stessa dimensione del primo risultava vuoto. Il commissario della Squadra mobile Giuliano, il 14 dicembre 1984, riferiva poi al Tribunale che uno di tali stabili si presentava, all'epoca della ir ruzione della polizia, di costruzione recentissima come testimoniavano le tracce di cemento ancora fresco.
In una zona sita a destra di tale capannone, ove oggi si erge una maestosa villa non ancora completa nelle rifiniture, il Procuratore della Repubblica notò un canile di "chow- chow" e al lato sinistro 15 canili occupati da ca ni di altre razze; sul lato destro, uno dei canili era adibito a "cuccia umana" perché all'interno vi era un materasso di crine su un asse di legno con una coperta ed una imbottita sudicia, tre bicchieri di plastica ed il solito water nautico ricolmo dì urina. Tale locale misurava la lunghezza di metri tre ed era largo un metro e venti.
L'ingresso risultava protetto da una porta chiusa nella parte inferiore e con grata nella parte superiore. Accanto a tale canile ve n'era un altro del le stesse caratteristiche e dimensioni, contenente le medesime supellettili, e i cui muri presentavano crepe e tracce di umidità.
In questi locali , la cui descrizione corrisponde ai rilievi fotografici di cui a f. 29 del fascicolo principale, erano stati custoditi, come si è visto, il Rubini, il Sola, il Costi, il Bargiotti, la Cesarini Maria Rosa e, sino al giorno 27 ottobre 1980, anche tal Maurizio Farneti detto Maurinò. Nel corso dell'istruttoria formale è altresì emerso che in epoca successiva al 28 ottobre 1980 gli ospiti di S. Patrignano erano stati segregati ed in catenati in vari luoghi della Comunità e i fatti così evidenziati hanno costituito oggetto della contestazione suppletiva del 14 novembre 1984. Gli imputati, nel corso delle loro difese, hanno ammesso gli episodi di se gregazione e di incatenamento relativi a Rubini Luciano, Costi Marco Marcello, Sola Massimo, Leonardo Sargiotti e Cesarini Maria Rosa, Sostenendo però che tali condotte, dettate da situazioni contingenti esistenti nella Comuni tà sino al 28 ottobre 1980, comunque, si erano realizzate con il consenso degli interessati, i quali, allo atto della loro ammissione in S. Patrignano, erano stati avvertiti espressamente che sarebbero stati trattenuti colà con ogni mezzo.
Hanno aggiunto che, nei casi in cui siffatto iniziale consenso era stato revocato, la relativa ulteriore manifestazione di volontà doveva considerar si priva di validità per la ragione che il tossicodipendente, durante la fa se di disassuefazione psichica, cioè nel corso del trattamento psicoriabili tativo, ed allorquando agisce sotto la compulsione di tornare alla droga, è incapace di volere. In ogni modo i mezzi usati nei confronti di taluni ospi ti, e cioè il sequestro e, in alcuni casi, il successivo incatenamento, era no dettati dalla necessità ineluttabile di salvare le persone loro affidate le quali, qualora fossero tornate nuovamente a far uso di eroina, sarebbero incorse in gravissimo pericolo di vita, secondo la proposizione (esplicitata attraverso esempi elementari ripetuti dal Muccioli in ogni momento): droga uguale morte, droga eguale distruzione. Tutti hanno infine ribadito che, dopo il 28 ottobre 1980 non si erano ripetuti (ad eccezione dell'episodio di Alessandro Melodia entrato a S. Patrignano nel maggio del 1982 e rinchiuso per alcuni giorni in una botte di cemento per ammissione dello stesso Muccioli) altri fatti di segregazione o di maltrattamenti. Le tesi difensive così come prospettate pongono subito il problema dell'operatività della discriminante del consenso dell' avente diritto' nell'ambito della fattispecie incriminatrice del sequestro di persona.
L'art. 50 del C.P. prevede infatti l'esclusione della punibilità di chi le de e pone in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne.
La legge, peraltro, pur richiedendo quale condizione di efficacia della sud detta causa di giustificazione, la disponibilità del diritto, non precisa in alcun modo il criterio per discernere i diritti disponibili da quelli in disponibili .

La dottrina prevalente, per quanto attiene il diritto alla libertà persona le, che è quello che qui interessa, ha ritenuto di risolvere ogni questione con criteri analoghi a quelli indicati da Codice civile per l'integrità fi sica, osservando in sostanza, che il consenso è da ritenersi efficace solo quando ha per effetto limitazioni circoscritte e secondarie di quel bene; è invalido allorquando ne determina la distruzione o menomazioni così gravi da sminuire in modo notevole la funzione sociale dell'individuo, e comunque nei casi in cui gli atti di disposizione siano contrari alla legge, al buon costume e all'ordine pubblico.
Una siffatta impostazione è secondo il Tribunale, pienamente condividibile perché si richiama innanzitutto alla Costituzione, e quindi alle disposi zioni preliminari del Codice Civile ed in particolare all'art. 31, che pone -un principio generale applicabile anche al diritto penale del quale costi tuisce un limite alla rilevanza degli atti giuridici quivi posti in essere. Per quanto riguarda il richiamo alle norme della Costituzione, va appena sottolineato che la carta repubblicana all’ co. dell'art. 13 dispone che la libertà personale è inviolabile.
Certamente non ignora il Collegio che la libertà personale, nella sua acce zione più certa e storicamente consolidata, è la c.d. libertà dagli arresti e che l'art. 13, secondo l'orientamento della Corte Costituzionale, non si riferisce a qualunque limitazione della libertà personale, ma a quelle limi tazioni che violano i valori dell'habeas corpus.
Tuttavia non può certamente negarsi che, da un punto di vista del contenuto di libertà, tale diritto non può comunque prescindere dalla disponibilità di sé medesimi e dalla stessa dignità della persona, in quanto l'ordinamento costituzionale italiano ha senz'altro voluto riconoscere una rilevanza so ciale al concetto di persona, non solo per quanto concerne i suoi rapporti con il potere statale, ma anche per tutti gli aspetti che la caratterizzano come tale.
Il precetto costituzionale privilegia infatti la libertà della persona e della sua dignità,, considerandolo come diritto inalienabile in un regime demo cratico, nella disposizione di cui all'art. 32, che dopo aver definito al 1° con. la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interes se della collettività, al 2° comma stabilisce che "nessuno può essere obbli gato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto del la persona umana".
L'applicazione più coerente di tali principi è contenuta nell'art. 1 della L. 13.5.1978 n. 180 che regola gli accertamenti e i trattamenti sanitari volontari ed obbligatori e che vincola l'autorità sanitaria, nel disporre trat tamenti obbligatori, al rispetto della dignità della persona e dei diritti ci vili e politici garantiti dalla Costituzione.
Ora, ammesso in via di mera ipotesi, che, nel caso della Comunità di S. Patrignano, vi sia stato il consenso degli interessati ad essere eventualmente "trattenuti in ogni modo", non può certamente, ai fini del giudizio sulla antigiuridicità della condotta degli imputati, ritenersi valida una manifestazione di volontà espressa in tal senso e diretta a permettere la segregazione in ambienti antigenici e malsani, destinati fino ad allora a ricovero di anima li e, per di più, come avvenuto in alcuni casi, mediante l'impiego di cate ne.
Una simile condotta non o è sicuramente contraria ai principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica che si ispira come si è visto ai principi della Costituzione democratica, ma sarebbe illegittima anche secondo la le gislazione previgente, dovendosi tener presente che gli attuali' imputati nel caso in esame, non erano nemmeno autorizzati ad esercitare la professione sanitaria.
All'uopo va ricordato quanto disposto dal regolamento 16.8.1909 "sui manico mi e sugli alienati" che all'art. 60 prevedeva l'uso dei mezzi di coercizio ne su tali infermi e nelle strutture pubbliche "solo con l'autorizzazione scritta del direttore sanitario", autorizzazione che doveva indicare la natura e la durata del mezzo di coercizione. La stessa norma vietava l'uso di detti mezzi di coercizione nelle cliniche private.
Per di più l'art. 34 dello stesso regolamento disponeva che "nell'adempimen to dei loro doveri gli infermieri dovevano avere sempre presenti le disposi zioni contenute negli artt. 390, 391, 477 delC.P. (ora 571, 572 e 715 del C. P. vigente) e che copia a stampa di questa avvertenza doveva essere affissa in ciascun reparto del manicomio".
A questo riguardo il Tribunale, poi, non può esimersi dal rilevare come an che nelle varie proposte di legge, presentate in parlamento da vari raggruppamenti politici in materia di repressione del traffico degli stupefacenti e per la prevenzione e la cura delle tossicodipendenze, i precetti costitu zionali dianzi esaminati, non solo non vengono obliterati ma addirittura ne costituiscono il principio informatore.

La proposta di legge n. 1261, presentata il 3 febbraio 1984 dai deputati democristiani Mariapia Garavaglia, De Mita, Piccoli, Anselmi, Casini Pierferdinando ed altri, agli articoli 109 e segg. regola gli accertamenti e i trattamenti obbligatori nei tossicodipendenti prevedendo, tra l'altro, che l'eventuale trattamento sanitario obbligatorio possa essere applicato solo attraverso un procedimento formale nel quale è concessa all'assistito un'ampia tutela giurisdizionale che si ispira al rispetto della libertà e delle di gnità della persona non diversamente da quanto avviene con la legge 180 del 1978.
La proposta n. 1374 presentata il 7 marzo 1984 di iniziativa dell'on. Pellicanò del Partito Repubblicano, premesso che il trattamento socio-sanitario può comportare limitazioni alla libertà di movimento e di riflesso alla li bertà personale, ha previsto nello art. 12 la possibilità di reclamo presso il giudice tutelare ed un doppio grado di giudizio con la possibilità di riesame da parte del Tribunale della libertà. La proposta si occupa anche delle Comunità terapeutiche (art. 14) che "oggi sono appannaggio esclusivo di privati, religiosi, laici" e prevede su queste un rigoroso controllo, "per stroncare speculazioni, abusi e pericolose improvvisazioni" disponendo al l'uopo (art. 16) che le comunità debbano rispondere davanti al giudice tute lare cui hanno l'obbligo di riferire.
La proposta n. 1665 dell'8.5.1984 di iniziativa dei deputati Oddo Biasini, La Malfa, Gunnella e Pellicano, sempre di parte repubblicana, regola tra l'altro, l'accesso alle comunità terapeutiche del tossicodipendente per sua libera scelta. L'art. 5 dispone che "il giovane che accede alla comunità deve conoscere le regole di vita che in essa vengono adottate e liberamen te accettarle" e prevede all'art. 6 la nomina da parte del Tribunale di due controllori (un magistrato e un medico) con il compito di vigilare affinché la attività della comunità sia conforme a quanto essa stessa ha stabilito nel suo protocollo.
Quanto sia elevala negli autori di tale proposta la preoccupazione della tu tela dei diritti individuali è dimostrato dall'art. 7 che tra l'altro'impone "che la posta di ogni tipo e genere deve essere aperta alla presenza 'del destinatario".
Meraviglia, dunque, e non poco, che alcuni degli stessi proponenti delle iniziative legislative testé ricordate, dimentichi evidentemente di avere affermato nelle sedi appropriate l'esistenza di limiti invalicabili alla autonomia della persona, si siano abbandonati, in occasionerei processo, anche su vari organi di stampa, a strabilianti e incomposte' manifestazioni di solidarietà per il Vincenzo Muccioli e di consenso per i metodi da esso usati nella comunità, i quali, essendo, invece, lesivi della libertà e del la dignità personale vanno considerati indegni di un consorzio civile. Pertanto il consenso eventualmente prestato, nel caso di specie, dalle persone offese dal reato non discrimina la antigiuridicità della condotta degli im putati perché trattasi di comportamento che urta contro diritti inviolabili della persona umana costituzionalmente garantiti.
11 Tribunale, tuttavia, per completezza di argomentazione, intende prendere in esame tutte le tesi difensive e qui in particolare anche quella della effettiva prestazione del consenso, ritenendo però, che tale compito debba essere preceduto da un'analisi tipologica del tossicodipendente in relazione soprattutto alla affermazione secondo la quale il tossicodipendente sarebbe incapace di volere durante la fase di disassuefazione psichica. A tal fine è indispensabile un accenno ai più significativi contenuti della letteratura, tenendo presente che, da più parti, si è tentato di tracciare un profilo psicologico del farmaco-dipendente, con conclusioni però alquan to divergenti.
Alcuni autori legano addirittura il tipo di personalità e di patologia al tipo di sostanza usata (cfr. Andreoli "II medico e la droga" - Masson). Per Hokimian il consumatore di eroina è "sociopatico o psicopatico"; i consumatori di cannabis sono dei "nevrotici" e chi fa uso di anfetamine è "nevro tico con tratti psicopatici".
Pichot ha fatto un ritratto dell'eroinomane rilevando in lui "un tono genera le di depressione, ambivalenza nei confronti della religione, tendenza ad ap partenere a un gruppo, risentimento verso l'autorità, conflittualità familia re uniti ad un non chiaro ruolo sessuale".
Glover, nel suo manuale di psicanalisi affronta il problema clinico delle tossicomanie affermando che esse non rientrano nelle consuete classificazioni delle psicosi e delle psiconeurosi ed aggiunge che, se esse talvolta appaiono più irriducibili e più disintegranti delle stesse neurosi, tuttavia, da un punito di vista clinico, non possono essere considerate come psicosi in senso stretto. Pertanto, secondo tale autore anche se i tossicomani possono presenta, re disturbi passeggeri di tipo psicotico, di solito la loro condizione menta le si distingue difficilmente da quella delle persone normali. Hanus e Le Guillon Eliet (1972), poi, hanno operato una classificazione in tre gruppi di tossicomani: gli psicopatici, la cui condotta è generalmente caratterizzata da instabilità e rivolta verso tutte le strutture sociali organizzate; i nevrotici, in cui l'attitudine tossicofiliaca ha un aspetto più complesso presentando contemporaneamente caratteristiche ansiose, isteriche, fobiche ed ossessive; gli psicotici con forme iniziali di schizofrenia per l'azione com binata delle droghe sui soggetti predisposti.


Altri (6.B. Rangel dell'Università autonoma di Coadalaiara, Messico) classifica colui che è dedito alle droghe come un immaturo emozionale, la cui immaturità viene proiettata all'esterno con conseguente distorsione della realtà. Il tossicomane sarebbe dunque, incapace di un dialogo in forma costruttiva e realistica e la intimità del rapporto con gli altri provocherebbe in lui solo timore e ansia: in definitiva il soggetto denuncerebbe impossibilità intrinse-che nello sviluppo di qualsiasi tipo di relazione emozionale e intima con una altra persona.
Bini e Bazzi, nel loro trattato di psichiatria hanno rilevato che, nella intossicazione cronica da morfina e da eroina, si osservano disturbi del comportamento sociale (apatia mista a impulsività, decadimento etico) e, più raramente, disturbi a tipo di alterazione organica della personalità. Molto di recente e cioè in occasione del 28° Congresso nazionale della società italiana di medicina legale e delle assicurazioni (tenutosi a Par ma dal 3 al 7 ottobre 1983) alcuni (v. Pontie Calvanese in Atti relativi), nell'esaminare le problematiche relative alla imputabilità e alla tossico-dipendenza, hanno innanzitutto rilevato che ogni questione insorge solo in presenza di una " cronica intossicazione", cioè di quello stato ravvisabile quando, anche in condizioni di sobrietà, persistono le alterazioni fisi che e psichiche conseguenti all'uso protratte della droga. Hanno ritenuto quindi che la cronica intossicazione incide sulla capacità di volere solo allorquando abbia prodotto nell'assuntore alterazioni psichiche permanenti e cioè fenomeni psicotici di deterioramento intellettivo della personalità, dei sentimenti, delle affettività, sempre identificabi-li alla luce della comune semeioiogia psichiatrica e rientranti nella abi tuale nosografia. La giurisprudenza, del resto, nel l'affrontare il problema della imputabilità e della sua conseguente menomazione per effetto della cronica intossicazione da stupefacenti ha, con orientamento ormai con forme ritenuto che la intossicazione da droghe che esclude la capacità di intendere e di volere, è solo quella che provoca alterazioni psichiche per manenti (cfr. Cass. 29.11.1979 in Cass. Pen. Mass. Ann. 1981 pag. 1221 m. 1085) ed ha precisato poi, che la "infermità di mente deve dipendere da una causa patologica e non da anomalie caratteriali che, pur appartenendo al processo psichico di determinazione e di inibizione, non si pongono come condizioni di alterazione della capacità di intendere e di volere (Cass. 9.6.1983 in Giust. Pen. 1984,11, 583, 629).
Osserva, tuttavia, il Collegio che, nel tracciare il profilo del tossico dipendente, non si deve tener conto solo di colui che è affetto da una pre disposizione o da impulso istintivo verso la sostanza stupefacente, ma anche dei casi di gravita decrescente che interessano soggetti maladattati all'ambiente di appartenenza, fino a quello in cui l'assunzione si correla con semplici motivi di curiosità o con il solo fine di attingere stati di coscienza diversi (i tossicodipendenti "ricreativi" di Olieven stein) senza dimenticare poi le e. d. tossicomanie involontarie, che in sorgono per ragioni indipendenti dalla volontà dell'assuntore. Da quanto sin qui sommariamente esposto deriva dunque la inaccessibilità della generalizzazione secondo cui il tossicodipendente, durante il trat tamento psico-riabilitativo, e nel momento in cui subisce una nuova com pulsione all'uso della droga, è sempre incapace di volere per difetto di attitudine a valutare il significato della propria condotta. Invero a sif fatta conclusione può pervenirsi solo allorquando, esaminato in forma spe cifica ogni singolo caso, si possa dedurre che il soggetto presenti una alterazione psichica permanente conseguente alla assunzione di farmaci. A questo riguardo, il Tribunale non può esimersi dal l'osservare come, se condo recenti scoperte (che hanno sconvolto talune concezioni tradiziona li in materia di tossicodipendenza) l'assunto difensivo, testé confutato venga a perdere ulteriormente valore.
In passato si era sempre sostenuto che talune droghe (e tra queste i deri vati dell'oppio per eccellenza) producessero nel consumatore abituale due stadi distinti di dipendenza: la fisica e la psichica. I concetti sono troppo noti perché debbano essere illustrati e sviluppati; basterà in questa sede accennare che, secondo tale ripartizione, il tossicomane, allorquando cessa di assumere la droga nei quantitativi a cui il suo at tuale stato di tolleranza lo ha condotto, cade, in brevissimo tempo, nel la e. p. crisi di astinenza (o sindrome di carenza) che è una vera e pro pria entità patologica indipendente in modo assoluto dalla volontà o dal la personalità (De Roop: "La droga e la mente"; Commissione Nazionale Canadese- Ottawa, 1970). Da tale stato il malato esce normalmente senza sussidi cinedi co o farmaceutico nel breve volgere di pochi giorni, mentre per mane , tuttavia, in lui la tendenza psicologica a continuare ad assumere la droga per fruire di quel senso di benessere che frequentemente coinvolge la personalità del soggette sino a fargli trascurare aspetti fondamen tali della sua esistenza (dipendenza psichica).
Sennonché la realtà non corrisponderebbe a tali semplici definizioni per ché, proprio per effetto delle recenti ricerche sopra ricordate, è stato posto in crisi il concetto corrente di netta separazione tra dipendenza fisica e psichica (cfr. per tutti Barra: "Tossicomanie giovanili. Tecni che di recupero delle tossicodipendenze" - ed. Savelli). Invero è stato constatato che l'organismo produce una sostanza struttu ralmente simile alla morfina (l'endorfina) dalla cui presenza dipenderebbe lo stato di benessere o di malessere dell'individuo. Nel caso di assunzione di morfina, viene meno la produzione di endorfina, compensata dall'apporto di quella esogena. Cessata ad un tratto la assunzione, l'organismo rimane scoperto sia di morfina che di endorfina con le conseguenze fisiche clamorose e incontrollabili della crisi di astinenza, sindrome che tenderà a decrescere sino a scomparire con la contet)ora_ nella ripresa della produzione di endorfine. Sennonché in tale fase il tossicomane non appare ancora guarito.
Infatti superata la crisi di astinenza l'equilibrio endorfinico non si ristabilisce completamente per cui permane, per un lungo periodo, la ne cessità di ulteriore assunzione di morfina. Tale lasso di tempo è stato sino ad oggi conosciuto come "dipendenza psichica" ma, a ben vedere, e proprio perché la pulsione ad assumere droga è dettata da una carente produzione endorfinica, si tratta invece di una dipendenza psicofisica, cioè di una dipendenza in funzione del l'endorfina.
Tale teoria che è stata generalmente accettata, svuoterebbe dunque ul teriormente di qualunque contenuto l'opinione secondo la quale il tossicodipendente durante la c.d. fase di recupero psichico, difetterebbe della facoltà di volere in quanto incapace di determinarsi liberamente. Comunque conviene ripetere che nell'attuale procedimento è mancato all 'epoca dei fatti qualsivoglia accertamento in ordine alle capacità intellettive e volitive delle persone che, ospitate dal Muccioli in S. Patrignano, tentarono in un secondo momento la fuga e quindi furono sottopo ste a trattamenti coercitivi.
Tale indagine non risulta sia stata compiuta dagli stessi operatori dej._ la cooperativa che, nell'ipotesi di dissenso di taluno degli ospiti a permanere in comunità, hanno nei loro confronti adottato mezzi e metodi che, senza dubbio, in difetto di qualunque causa di giustificazione, debbono essere ritenuti senz'altro antigiuridici.
I casi dei tossicodipendenti Cesarini Maria Rosa, Costi Marco Marcelle, Sola Massimo, Rubini Luciano, Farneti Mauro, Castellani Castone, Stanzione Maria, Alessandro Melodia.,, Casarini Monica, Turco Claudio, Brasola Roberto, Schiappa Paolo Davide, Morosini Paolo dovranno essere esaminati separatamente da quelli di Patrignani Ambra, Tenan Maurizio, Gaballo Li-via e di Rargiotti Leonardo che presentano caratteristiche diverse non essendo la Patrignani, la Gaballo il Tenan, all'epoca, tossicodipendenti e dovendosi infine riscontrare nel Bargiotti elementi e caratteristiche tali da trascendere il semplice stato di tossicomania. La Cesarini Maria Rosa ha confermato al dibattimento la versione resa al P.M. il 31.10.1980 (f. 10 volume testi) e il 15.11.1980 al G.I. (f. 15 stesso volume) e già descritta.
La teste ha ripetuto sostanzialmente le predette dichiarazioni specifi cando che il Muccioli, al momento di accettarla in Comunità, nel corso di un colloquio "affabile e cortese" si era limitato a dirle "che allorquando le fossero venuti i suoi momenti essi la avrebbero trattenuta". Costi Marco Marcelle, rinvenuto incatenato il mattino del 28 ottobre, ha reso dichiarazioni particolarmente circostanziate che meritano, pur essendo tutt'altro che brevi, di essere minutamente riferite.
Interrogato dalla polizia subito dopo la sua liberazione, il giovane ha precisato (f. 14 fascicolo 137/1980) di essere entrato a S. Patrignano su con" siglio di alcuni amici e che il Muccioli, quando lo accolse, lo avvertì che le regole che vigevano nella istituzione erano: "lavorare per la comunità e divieto di allontanarsi" senza alcun riferimento in ordine all'eventuale li so di catene, per cui egli, fiduciosamente, non sospettò che si potesse giungere ad un tale eccesso. Dopo qualche giorno, ebbe però a manifestare il desiderio di andarsene incontrando peraltro il netto rifiuto del Muccioli Avendo egli insistito fino ad urlare tale sua determinazione,- era stato rinchiuso dal Muccioli e dai suoi collaboratori in uno stanzino dove fu legato" con una catena e minacciato di botte qualora avesse seguitato a protestare. Lì il Costi rimase dal 21 ottobre sino al 28 successivo. Nella deposizione resa al giudice Istruttore, il 20.11.1980, il Costi fu ancora più preciso ricordando che, all'atto della sua accoglienza a S. Patri gnano, gli fu puntualizzato che "se fosse fuggito lo avrebbero ripreso, senza che però gli venisse detto alcunché "né di catene né di trattenimento contro la sua volontà".
Aggiunse che, al momento del suo ingresso in comunità, il trattamento di _segregazione era già sicuramente in atto tanto vero che tal Castellani Gastone, era stato rinchiuso sia perché fuggito due volte, ma anche perché aveva picchiato sua madre.
Avendo poco dopo espresso l'intenzione di fuggire fu anche egli incatenato per circa otto giorni (e cioè sino allo intervento della polizia). Il Costi ha precisato di avere accettato inizialmente di essere chiuso, pensando che ciò sarebbe avvenuto in una comune stanza, " non intendo però in alcun modo che fosse a tale scopo usato un bugigattolo gelido, senza luce, e per di più costretto a mezzo di catene".

Ha aggiunto che il Lotti Egidio era quello che alle sue proteste, "gridava più di tutti che non gli sarebbe stato consentito di andarsene". Approfit tando di una sua momentanea liberazione per consentirgli di andare al gabi_ netto, il Costi aveva riaffermato la sua ferma volontà di uscire dalla Comunità ottenendo, però, per tutta risposta di essere nuovamente afferrato, incatenato e rinchiuso.
Al dibattimento, il Costi, non solo ha confermato nella sostanza le sue precedenti dichiarazioni, ma ha riaffermato, con particolare decisione e senza alcuna esitazione, come fosse manifesto e totale il suo dissenso a subire un qualunque trattamento limitativo della propria libertà personale. Il teste ha infatti spiegatole, dopo alcuni giorni dal suo ingresso in S. Patrignano, si era reso conto di non volere restare più in comunità ed ave va perciò fatto con il Muccioli "un certo discorso per rimanere tre giorni da solo per riflettere, senza avere contatti con gli altri e senza essere seguito dalla mattina alla sera".
Per tutta risposta, si era trovato, anziché isolato, "incatenato con una catena al piede ed un lucchetto in una stanza di 3 metri per 2". Dopo tre giorni, con il pretesto di prendere un bagno t farsi togliere le catene aveva cercato di scappare, ma fu subito ripreso "di forza contro la sua volontà e rinchiuso nello stesso stanzino". Alla sua protesta, urlata invano per una notte intera, risposero voci di persone che, poco distanti, prospettavano di dargli "una mano di bianco" e cioè "una manica di botte". Il Costi ha infine ribadito, con risolutezza e indignazione per quanto gli era accaduto, di non essere stato assolutamente preavvertito circa il trattamento che invece gli fu riservato e che, quando gli era stato detto che sarebbe stato trattenuto, non aveva mai pensato né alla segregazione e tanto meno all'uso delle catene.
Quale sia stata l'effettiva volontà del Costi, e quindi furono le sue reazioni di fronte alle umiliazioni ingiustamente subite, traspare con lucida chiarezza dalle\interviste che egli rilasciò a vari giornali nei giorni successivi alla sua liberazione.
Il giovane, infatti, rese dichiarazioni ai giornalisti (che evidentemente lo assediavano) del "Tirreno", della "Stampa, del 'Resto del 6arlino", del "Ronte", dell'Unità" e ancora del "Ponte" e l'esame particolareggiato di tali art.co contenuti in parte nel fascicolo 137/80 e in parte nell'alle gato F (articoli di stampa del faldone n. 5) è, a giudizio del Tribunale, oltremodo interessante anche per comprendere il clima di ostinata solidarietà, con il quale, in dispregio di ogni obbiettiva cronaca dei fatti, si è tentato da più parti di circondare fin da allora la vicenda di S. Patrigna no.
Il primo novembre 1980, dichiarò al giornale II Titfceno:"... E stata una esperienza terribile. A loro (agli attuali imputati) non importava nulla di liberarci dall'eroina; volevano solo insegnarci a vivere in una certa maniera quasi ascetica. Tutti volevano scappare. Non ci hanno provato per un pò1" perché avevano paura. Per chi disobbediva botte o settimane di segregazione" ( f. 68 fase. 137/80 ).
Ai giornalisti della "Stampa" ( f. 77 allegato F faldone 5), lo stesso giorno, anticipò, poi, quelle che sarebbero state le dichiarazioni al dibatti mento, asserendo di non aver mai prestato il suo consenso al trattamento "nell'allucinante cella di punizione".
Al "Ponte" il 5 novembre 1980 (f. 126 fascicolo 137/80) e all'Unità (f. 127 ibidem), il 7.11.1980, chiarì che 1'incatenamento degli ospiti di S. Patri gnano era dovuto a fattori contingenti fra i quali il lavoro nei campi che non consentiva agli operatori della cooperativa di accudire agli assistiti con assiduità.
In una sola delle interviste, e cioè quella resa a "II Resto del Carlino", ilj2.11.1980 (f. 81 retro ali. faldone 5), il Costi ebbe considerazioni positive sull'operato di Muccioli affermando "che i suoi veri amici erano gli operatori della Comunità ai quali aveva chiesto personalmente di essere trattenuto "in ogni modo" qualora avesse tentato di fuggire; si dichiarò pure convinto, che quanto subito "era stato fatto per il suo bene", concludendo che, allorquando aveva rilasciato giudizi diversi su S. Patrignano "infan gandone l'immagine", aveva bevuto ed era in preda alla droga con cui si era nuovamente "fatto".
Senonchè, proprio a proposito di tale intervista, occorre rimarcare che, il 23 novembre 1980, lo stesso Costi rilasciò diverse e opposte dichiarazioni al giornale il Ponte (f. 107 ali. F faldone 5).
In queste egli non solo denunciò la condizione di "plagio" in cui si trova vano i tossicodipendenti a S. Patrignano, ma sottolineò che, onde sfuggire ai primitivi sistemi di punizione colà vigenti, occorreva "imparare a mentire" pur di convincere gli operatori della raggiunta sottomissione e ripete" che, allorché si vide incatenato, in condizioni di assoluta abbiezione, aveva urlato come una belva la sua disperata protesta e la volontà di denuncia_ re il Muccioli per il suo comportamento".
Il Costi, al dibattimento, ha fornito una spiegazione delle sue contraddittorie dichiarazioni al Resto del Carlino il 2 novembre, riferendo che, una volta tornato in libertà, si era posto il problema dei sessanta ragazzi rima sti a S. Patrignano e del loro eventuale stato di abbandono, per cui aveva telefonato all'industriale Gianmarco Moretti, sostenitore della Comunità, chiedendogli notizie di S. Patrignano.
Il Moratti, (che era anche all'epoca uno dei mecenati più solleciti della cooperativa), allora lo aveva convinto affabilmente a rientrare in Comunità, proponendogli, peraltro, di rilasciare subito una appropriata intervista al Carlino; lo aveva così accompagnato in redazione ed aveva addirittura presenziato personalmente al colloquio con quei giornalisti.
Un altro dei giovani segregati ed identificato in Sola Massimo "detto Poldo" (alla polizia f. 18 del fascicolo 137/80 e al P.M. f. 4 voi. testi) dichiarò di essere entrato nella comunità il 7 settembre 1980. Il 18 ottobre, reputar^ dosi disintossicato, e anche perché l'ambiente della comunità non gli era assolutamente gradito, si allontanò raggiungendo Pesaro dove trovò ospitalità presso la casa di un certo Lamberto, suo compagno di fuga. Il giorno successivo, domenica, però, il Muccioli, insieme al padre di detto Lamberto, li rin tracciò e li costrinse a tornare presso la comunità sostenendo di essere re sponsabile di loro. Il lunedì, tre operatori della comunità, e cioè Di Lauro Paolo (detto Pablo), Villa Mauro e Carlini Giulio, lo condussero in una cella, situata in fondo a un padiglione, e ve lo rinchiusero, assicurando la porta di ferro con due lucchetti. Il martedì lo trasferirono nella piccionaia dove lo legarono per un piede con una catena, il mercoledì fu condotto in una
cantina ed ancora legato, sempre con una catena, per un piede.Servendosi di un tubo di ferro riuscì tuttavia a liberarsi della catena che, però, gli rimase unita per un troncone al Diede e con essa nascosta sotto i
pantaloni, fuqqì per le campagne, arrivando poi alla casa paterna a Zola Pedrosa. Qui, però, fu raggiunto da Villa Mauro, Lotti Egidio e Bernardi, i quali, al suo rifiuto di rientrare in comunità, lo costrinsero, percuotendolo
con pugni e schiaffi, a salire in macchina con loro. Tornato, a -S. Patrignano,
era stato rinchiuso nuovamente, anche con l'intervento del Canini, in piccio naia e questa volta legato, sempre con una catena sia alle mani che ai piedi.
Così rimase cinque giorni, al freddo e privo di ogni conforto, sino all'arrivo della polizia.
Rubini Luciano dichiarò (alla polizia f. .16 fase. 1?7/80 e al P.M. f. 1 voi. testi; al dibattimento ex stata data lettura della sua deposizione essendo e gli residente all'estero) di essere entrato a S. Patrignano, in quanto tossicodipendente, nel giugno del 1980.
Da qui si allontanò due volte, la prima nell'agosto del 1980 ( e Poma e Bertoni lo convinsero a tornare), una seconda, il 18 ottobre dello stesso anno, quando fu ripreso presso la sua abitazione dagli stessi Poma e Bertoni alla presenza del Moretti.
Tradotto a S. Patrignano, il Canini gli impose di seguirlo e, quindi, contro la sua volontà, lo chiuse in un canile dove lo incatenò al muro per entrambi i piedi. Lì egli rimase per quattro giorni, in gravi angustie, essendo il box molto piccolo e appena sufficiente per la sua persona e dove per di più doveva soddisfare i propri bisogni fisiologici.
Inoltre, durante la notte, non poteva trovare riposo sia per il freddo che penetrava dalla porta in ferro, sia per l'uggiolare di numerosi cani rinchiusi nei box adiacenti, dalla sua prigione inoltre poteva sentire i lamenti di Bargiotti Leonardo incatenato in un canile poco distante. Al Procuratore della repubblica egli specificò che, all'atto del suo incatenamento, non si ribellò, ma in un'intervista rilasciata all'Unità (f. 82 retro ali. F faldone 5) confermò 'di non essere stato consenziente alla sua segregazione; che non lo era nessuno, anzi uno solo".
Farneti Mauro, interrogato dalla polizia il giorno 28 ottobre 1980 (f. 20 fase. 137/80) narrò di essere capitato a S. Patrignano da circa un anno. Do po quasi un mese di permanenza, il Muccioli, un giorno, lo colpì con due schiaffi (i primi ricevuti in vita sua). Senonchè, il 24 ottobre, dopo un occasionale litigio con un altro ospite, decise di fuggire ponendo in essere tre tentativi tutti frustrati dall'intervento degli operatori di S. Patrigna no. Le prime due volte lo avevano convinto a tornare con le buone; mentre alla terza, il Canini, il Ghiotti e il Giuseppe (Scozzari)* lo avevano immobi lizzato riportandolo nella comune. Qui fu avvertito che bisognava che "smettesse di fare i capricci" e poi gli stessi tre che lo avevano catturato, lo chiusero nella colombaia. Da lì elevò la sua disperata protesta, minacciando addirittura di uccidersi se non lo avessero liberato; il Canini, il Ghiotti e lo Scozzari, allora, con la approvazione di alcuni presenti, per farlo ta cere, lo incatenarono al muro, lasciandolo in tale condizione sino alla sera del 27 ottobre.
11 Farneti, al P.M. (f. 8 vo. testi), confermò tale versione dei fatti, riconoscendo tra le fotografie scattate dalla polizia il luogo della sua prigio nia; aggiunse di essere rimasto successivamente a S. Patrignano, lavorando
alla pellicceria e di essere guarito dalla droga.
Al dibattimento il giovane ha confermato ogni circostanza relativa ai tenta tivi di fuga, alla conseguente cattura, alla segregazione ed all’incatenamento ed alle sue proteste per ciò che aveva subito, aggiungendo tuttavia di essere però grato al Muccioli perché convinto che tutto ciò era stato fatto per il suo bene.


Gli episodi sin qui riferiti dai testi Cesarini, Costi, Sola Rubini e Farne ti erano stati temporalmente preceduti da altri analoghi fatti di sequestro di persona e di cui furono vittime il Turco, il Brasola e lo Schiappa, il Morosini e il Castellani.
Il Turco, come già si è visto in narrativa e nel rapporto 20.9.1980 dei CC. di Coriano (fase. 139/80 A), ha riferito a quei militari di essere tossicomane e di essere stato accolto a S. Patrignano alla fine dell'agosto " 1980. Il 7 settembre successivo aveva manifestato al Muccioli la sua volontà di andarsene in quanto l'ambiente non era adatto alle sue esigenze. Il Muccioli gli aveva risposto che "egli non era una persona, ma una merda, un disonesto, un pregiudicato"; che, come tale, doveva restare per forza nella comunità e che, qualora si fosse arrischiato ad allontanarsi, lo avrebbe fatto ricondurre lì, "anche a suon di botte".
Conseguentemente egli fu sottoposto a continua assidua sorveglianza finché, la sera del 18 settembre, insieme a Schiappa Davide e Brasola Roberto, attraverso un buco della rete di recinzione, era fuggito raggiungendo, alle 6 del mattino, la stazione ferroviaria di Rimini, dove però aveva subito visto alcuni collaboratori del muccioli evidentemente sguinzagliati alla loro ri cerca. Tutti e tre, allora, si erano allontanati per far ritorno in quel luo go alle 14, senza tuttavia sfuggire agli stessi operatori che afferratolo, lo percossero e lo caricarono a forza su di un'automobile. Poco dopo anche Brasola e lo Schiappa venivano catturati e tutti e tre ricondotti a S. Patrignano.
Tradotti alla presenza del Muccioli, questi lo avrebbe tacciato di essere un sovversivo, un contestatore e un buono a nulla, percuotendolo, nel contempo, con pugni e calci che gli avevano procurato lesioni personali guarite in 4 giorni (certificato medico f. 4 fascicolo 139/80). A ciò era seguita la mi naccia "per punizione della sua fuga e della sua contestazione" di rinchiu derlo in una botte dove lo avrebbe  lasciato per 15 giorni. Il Turco narrò che altri ragazzi erano rinchiusi ed incatenati, implorando, infine, i Carabinieri di non ricondurlo nella comunità che era "un inferno sotto tutti i punti di vista igienico, sanitario e umano". Successivamente interrogato dal Procuratore della Repubblica di Palermo (f. 10 fase. 139/80), il giovane confermò integralmente quanto dichiarato ai Carabinieri precisando che, a catturarlo nei pressi della stazione, erano stati il Canini, il Bertoni ed il Bernardi.
Al dibattimento, il teste ha fornito una particolareggiata e completa ratifica delle precedenti deposizioni, sottolineando anche che al momento della accoglienza, il Muccioli aveva aderito alla sua richiesta soggiungendo però che " se fosse fuggito non lo avrebbe:  più ripreso".
Lo Schiappa e il Brasola, che, come il Turco, apparvero ai Carabinieri (v. rapporto fascicolo 139/80) "tremanti, impauriti e sconvolti", benché "implorassero" di non essere ricondotti a S. Patrignano, si rifiutarono di forni re dichiarazioni ai militari per timore di rappresaglie, significando però al Maresciallo Miserendino Antonio, verbalizzante, che nella Cooperativa "si stava come in prigione e forse peggio".
Lo Schiappa, sentito al dibattimento (il Brasola non è mai stato rintracciato) ha cercato di attenuare le circostanze riferite nel rapporto, soggiun gendo, tuttavia che, all'epoca dei fatti, non condivideva quei sistemi ed in particolare di essere trattenuto contro la sua volontà. Morosini Paolo (F. 56 fascicolo 9519) ha dichiarato di essere da tempo tos sicodipendente e di essersi lasciato quindi convincere per liberarsi dalla droga ad entrare a S. Patrignano, dove si era recato con la moglie. L’aveva iniziato un ciclo di disassuefazione basato principalmente sull'astinenza dalle eroina, finché nella notte tra il 25 ed il 26 dicembre, si era sentito male tanto da subire "sei o sette collassi". Allora aveva impetrato di essere ricoverato in ospedale, dove gli sarebbero state praticate idonee cu_ re, ma alle sue insistenze, era stata disposta la vigilanza della stanza da un operatore con il compito di trattenerlo eventualmente anche con la forza all'interno di quel locale. La moglie Boccalini Fiorella era d'accordo con gli operatori. Il Morosini ha aggiunto che, nell'impossibilità di allontanarsi, era ricorso all'espediente di scrivere il biglietto già descritto in narrativa affi dandolo a un passante perché lo consegnasse alla Polizia. Ha precisato che gli imputati onde impedire la sua fuga avevano manomesso l'impianto elettrico della sua Fiat 500 e ha ribadito che, agendo nei modi dianzi descritti, lo si era, contro la sua volontà, privato della libertà. Al P.M. in istruttoria il Morosini, pur confermando le dichiarazioni già rese, si dichiarò convinto che il muccioli e i suoi collaboratori avevano agito per il suo bene.
Al dibattimento, invece, il teste ha riferito che ogni sua affermazione precedente era stata dettata dalla volontà esclusiva di tornare a bucarsi, per cui aveva simulato sia i collassi che le invocazioni di aiuto scritte nel biglietto per raggiungere tal fine.
Castellani (Sastone si recò a S. Patrignano il 22 luglio 1980, quando ottenne la libertà provvisoria (v.  F. 12 volume testi al G.I.) e chiese subito" di essere aiutato per non commettere delle sciocchezze. Gli fu risposto di"non preoccuparsi perché in qualche modo lo avrebbero tenuto".
Dopo una settimana, uscito con un pretesto, acquistò eroina che si somministrava insieme a un certo Stefano e Stella, suoi amici. Muccioli si avvide"" di ciò e lo chiuse in piccionaia per una settimana.
Il Castellani, in proposito, ha aggiunto che non fu incatenato perché a quell'epoca le catene non erano ancora in uso. Dalla piccionaia però egli fuggì, segando le sbarre con una lima.
Il teste ha precisato che, prima di essere rinchiuso in tal modo, ignorava tale tipo di segregazione, pur avendo intuito che i mezzi che gli erano stati prospettati onde trattenerlo sarebbero stati comunque drastici. Subi to dopo la fuga egli tornò a casa, scioccato perché l'esperienza subita gli aveva evocato il carcere da cui era uscito di recente. Convinto dalla madre, tornò spontaneamente in S. Patrignano. Dopo circa un mese fuggì nuovamente, ma raggiunto da Muccioli, Villa, Bernardi e Di Lauro fu convinto a rientra re ed acconsentì di essere nuovamente rinchiuso in piccionaia, dove in ef fetti rimase per 18 giorni, questa volta incatenato ad un piede. Il Castellani ha concluso la sua deposizione al giudice istruttore, soste nendo di essere restato segregato con il suo pieno consenso, così come era no stati consenzienti tutti gli altri ragazzi, e tra questi anche la Cesarini Maria Rosa. Ha riconosciuto la bontà del metodo del Muccioli che gli aveva consentito di liberarsi dalla droga e di riprendere gli studi universitari.
Al dibattimento il Castellani ha confermato sostanzialmente la deposizione resa in istruttoria, sottolineando però che le decisioni di incatenare e segregare gli eventuali fuggiaschi erano adottate in assemblea alla presenza del Muccioli e con il consenso preventivo ed incondizionato degli inte ressati .
Gli episodi sin qui narrati furono seguiti dai casi di Alessandro Melodia, Casarini Monica e Stanzione Maria.
Il Melodia giunse a S. Patrignano l'8 maggio 198Z (v. f. 381 fase. 137/80), mentre era in libertà provvisoria, dopo un periodo di carcerazione preven tiva. Sicuramente, dunque, era già disintossicato fisicamente. Il Muccioli, per sua spontanea ammissione nei "Colloqui con i periti d'ufficio" (faldone 3 allegato 3), lo rinchiuse in una botte di cemento dove normalmente si conservava il vino. Lo stesso Muccioli, nel corso della ispezione dei luoghi, ha confermato tale asserzione mostrando al Collegio il luogo dove il Melodia fu rinchiuso e dove era sita all'eopoca la botte (v. Verbale dibattimento udienza 14 dicembre 1984).
Casarini Monica (f. 50 voi. testi) giunse a S. Patrignano il 4.4.81 e vi ri mase sino al 31.8.1982.
Fuggì tre volte, ma in ogni caso fu ripresa e riportata nella comune. Dopo la terza fuga Muccioli la fece chiudere in uno stanzino per due giorni. La teste Sgnaolin Adriana, nel riferire le scene di violenza e di costrizione di cui era teatro la comunità di S. Patrignano, ha riferito che la Moni ca era tenuta legata al letto(f. 49 e voi. testi) e al dibattimento ha precisato che ciò avvenne mediante una catena.
Stanzione Maria* come si è visto in narrativa, si presentò spontaneamente ai carabinieri di Coriano per sporgere denuncia contro Muccioii. Il caso , della Stanzione, entrata spontaneamente a S. Patrignano, è connotato da particolari drammatici e merita un accenno particolare. La ragazza ha riferito che dopo circa una settimana dal suo ingresso Muccioli la chiamò dinnanzi a tutti "puttana, pazza, falsa imbecille" e prendendola per il collo le dette uno schiaffo. Alla sua richiesta di potersene andare, fu picchiata selvaggiamente dall'imputato che la fece chiudere-dentro un tino di cemento, apponendovi il coperchio e dopo averla legata ad un piede con una ca tena (v. fase. 642/81 della Procura della Repubblica f. 1 e 2). All'udienza dibattimentale del 18.11.1984, la Stanzione ha confermato sostan zialmente la denuncia, non rammentando però la circostanza dell'incatenamento e quella della chiusura della botte mediante coperchio. La deposizione ha se gnato uno dei pochi momenti di grande tensione del processo. La giovane che è apparsa in stato di eccitazione, ha inveito violentemente contro il Muccioii, usando un linguaggio elementare, ma non privo di efficacia, e mal celando la sua ira ed il suo risentimento verso il principale imputato, suscitando così le critiche della difesa e lo scherno del pubblico, numerosissimo e sempre pronto a sottolineare negativamente chiunque accusasse il Muccioli. La stampa ha completato l'opera insinuando che essa fosse addirittura imbottita di psi cofarmaci .
Il Tribunale, però, non ha alcun serio elemento per non ritenere attendibile la teste, pur avendone compreso il risentimento e l'agitazione. Ciò perché i fatti riferiti, come si è appurato, hanno trovato conferma nelle deposizioni di altri testi i quali, anche, se più compostamente della Stanzione, hanno in termini identici, riferito di percosse, di insulti e di segregazioni comminate dal Muccioii contro chi si ribellava alla sua legge.

Per di più Sgnaolin Adriana il 22.'2.1983, riferendo al Giudice Istruttore di quello che aveva visto durante la sua permanenza a S. Patrignano come lavoran te, ha confermato in particolare la versione della Stanzione(f.49 voi.testi) pur non ricordando l'episodio al dibattimento.
Le deposizioni, così riassunte, consentono al Collegio di affermare che in nessuna delle ipotesi testé enunciate vi fu presentazione del consenso alla pri vazione della libertà personale.
Sì può addivenire a tale affermazione tenendo presenti i principi che regolano la discriminante di cui all'art. 50 C.P. e che debbono qui essere così riassunti.
Innanzitutto il consenso può essere dato solamente dai titolare dell'interesse protetto dalla norma e cioè, esclusivamente dalla persona che subisce l'offesa integrante reato, con la conseguenza che deve ritenersi invalida ogni volontà prestata da persona diversa dal titolare del diritto. Infatti è inammissibile la possibilità di rappresentanza per la inconciliabilità di tale istituto con il carattere personale degli interessi protetti dal diritto penale ad eccezione della ipotesi di un "vantaggio certo" del quale, peraltro, lo incapace, per le sue condizioni, non è in grado di rendersi conto.
Pertanto non acquistano alcuna rilevanza esimente le ipotesi di consenso even tualmente prestato, da altri e, nel caso che occupa, dai congiunti dei tossi codipendenti .
E' altresì incontestabile che il consenso, eventualmente espresso prima della azione lesiva, possa essere in qualunque momento revocato. Infine è del tutto irrilevante l'eventuale ratifica post-factum operata dagli interessati dopo la consumazione del delitto ed è quindi inoperante il Rico noscimento espresso da alcuni testimoni (quali ad esempio il Castellani e il Farneti) della bontà della condotta del Muccioii e dei suoi effetti. Alla luce di tali concetti, consenso certo non vi fu da parte di Costi Marco Marcelle ali ' incatenamento e alla segregazione avendo egli urlato, si-nò alla disperazione, la sua ferma intenzione di essere liberato mentre era in vincoli. Così per il Sola che, con la sua fuga attraverso i campi con un troncone di ca tena ancora legato a una caviglia e celato sotto il pantalone, ha evocato disperate immagini di drammatiche evasioni da luoghi di pena.
E ancora per la Cesarini che, reiterando le sue accuse persine al dibattimen to, ha confermato il suo dignitoso dissenso anche di fronte alla spietata pub blici£azione della sua misera vita di tossicodipendente da parte della difesa. Lo stesso dicasi del Rubini che fu rinchiuso dal Canini, contro la sua volontà ed incatenato al muro per entrambi i piedi accanto al Bargiotti che, poco lon tano, soffriva il suo stesso destino.
Non diversa la posizione del Turco, fuggito e riportato con violenza in comuni tà, nella quale, poi, implorò di non essere ricondotto per il terrore che quel luogo gli incuteva.
Anche Farneti, detto Maurino, su cui postumi riconoscimenti a favore del Muccioli si è fatto dalla difesa tanto affidamento, ha negato di aver prestato il suo" consenso alla segregazione riconoscendo di aver persino manifestato l'intenzio ne di suicidarsi se non fosse stato liberato, ottenendo per tutta risposta di essere subito incatenato al muro.
Analoghe considerazioni valgono per il Morosini (sequestrato come si è visto nel chiuso di una stanzetta, anziché in un ricovero per animali), giacché egli nella sua circostanziata e sicuramente spontanea denuncia ai Carabinieri, atte sto che la sua volontà era contraria a qualunque forma di contenimento. Se poi i collassi furono simulati, come riferito dal Muccioli e riconosciuto in udienza dallo stesso Morosini, ciò costituisce conferma che il dissenso ad essere trattenuto era libero e cosciente.
Ipotesi di sequestro non discriminato è anche quella di cui fu vittima il Ca stellani allorché la prima volta, fu segregato in piccionaia per circa una settimana e dalla quale egli si sottrasse segando le sbarre della finestra. Per i casi di Casarini-Monica e di Alessandro Melodia non vi è in atti alcuna prova del loro consenso alla subita segregazione; per la Stanzione vi è invece una netta prova contraria, per cui in tutti tali casi la antigiuridicità della condotta del Muccioli e degli imputati appare in tutta la sua evidenza. Non ricorre, nel caso di specie, nemmeno l'esimente dello stato di necessità. Va innanzitutto rilevato che il Muccioli, ricorrendo ad un esempio elementare, ma idoneo a vulnerare l'altrui immaginazione, a giustificazione del suo operato e di quello dei suoi ausiliari ha sempre ripetuto, sia al dibattimento ed in ogni altra sede anche non giudiziaria, che egli era stato costretto a ricorrere alla segregazione e all'incatenamento di alcuni ospiti per salvarli da un peri colo gravissimo come "avrebbe fatto nei confronti di chiunque fosse stato in procinto di gettarsi da un ponte".
Si è già detto che una simile proposizione introduce nella discussione l'equazione "droga uguale morte".


Nel fenomeno droga (di cui certamente il Tribunale, al pari di molti, ma non meno degli altri, conosce la vastissima problematica) il ritorno da parte di un tossicodipendente, sia pure in fase di svezzamento, nel consorzio civile non costituisce, in ogni caso un'eventualità sempre foriera di funeste conseguenze, anche se il nocumento alla salute ed il danno alla società appaiono indiscutibi li ed evidenti.
Tale constatazione, che non è frutto di cinica indifferenza, ma di esperienza ovviale ricorrente, trova conferma, anche nell'attuale procedimento, nei casi di quei testi che, fuggiti definitivamente da S. Patrignano, hanno mostrato, sia pur dopo ulteriori dolorosi travagli, di aver ritrovato una vita normale e qua si sempre indenne dalla droga (v. tra gli altri i testi Rubini, Costi, Stanzio ne e Casarini).
Senonchè, a ben guardare, la ragione addotta dal Muccioli, a difesa del suo ope rato, e consistente, come si è visto, nella asserita ineluttabile necessità di salvare le persone a lui affidate da un gravissimo pericolo non altrimenti evi tabile, non pare abbia animato, con eguale ed ininterrotta coerenza, la condotta degli imputati, i quali, per loro stessa ammissione, giunsero alla misura della segregazione, ed a quella più penosa dell'incatenamento per molteplici, diversi e tra loro contraddittori motivi.
Infatti questi furono dettati a volte dall’eccezionalità di circostanze estranee allo stato di salute degli ospiti, a volte da un intento di esemplarità, in qualche caso da finalità terapeutiche, assai più spesso da precisa volontà punitiva. In istruttoria il Poma (ff. 33, 34 voi. imputati) ha giustificato la priva zione della libertà personale inferta a taluni giovani della Comunità adducendo "che si era al termine dell'estate, in un periodo di lavoro molto intenso, sia nei laboratori per le consegne da fare, sia nei campi dove non si poteva certo aspettare dicembre per raccogliere l'uva"; inoltre, sempre a suo dire, si era giunti ad un numero di sessanta tossicodipendenti di già superiore a quello dell'estate precedente in cui non si erano superate le quaranta unità.
Nei colloqui con il perito (faldone 3 allegato 3°) il Poma-ha inoltre preci sato che la segregazione era indispensabile perché altrimenti gli operatori sarebbero stati costretti ad assistere, 24 ore su 24, i tossicodipendenti. Il Giannatempo, parlando del caso Bargiotti su cui il Tribunale si intrcfrerfè più avanti diffusamente, ha confermato il concetto espresso dal Poma (f. 41 retro voi. imputati): "1'incatenamento del Sargiotti poteva essere evitato se ci fosse stata una persona in grado di seguirlo a tempo pieno, ma ciò non era possibile per ragioni contingenti".
Al Poma e al Giannatempo ha fatto eco il Bernardi (f. 48 voi. imputati): "Credo che la decisione di far ricorso alle catene sia stata determinata dal fatto che eravamo in pochi ad occuparci direttamente dei tossicodipendenti, in con fronto all'esigenza di tutti coloro che arrivavano e, in quel periodo (cioè nell'ottobre 1980), arrivava molta gente e noi non sapevamo che pesci prendere". "In quell'epoca c'era anche molto lavoro nei campi, nei laboratori, per la costruzione del capannone ecc.".
Il teste Costi ha confermato tali asserzioni ricordando, nelle sue interviste al "II ponte" (f. 26 fascicolo 137/80 del 16.11.1980) e all'Unità del 7.11.1980, (f. 127 ibidem) che la segregazione e 1 ' incatenamento erano dovuti a momenti contingenti "perché vi era da provvedere al lavoro nei campi". L' intento, poi, di fornire esempi dissuasivi per coloro che avessero voluto imitare i fuggiaschi è evidenziato da altre significative ammissioni. Ancora il Poma ha dichiarato: "certe fughe, come quella del Turco, dello Schiappa e del Brasola (avvenuta il 18 settembre 1980) avevano creato tensione fra i giovani e la propensione in alcuni a seguirne l'esempio. Il Turco era un elemento subdolo che aveva' addirittura inviato, dopo la fuga, una cartolina ai ragazzi della Comunità con la scritta "saluti dalla terra della libertà" (v. FF. 33-34 voi. imputati).
E il Cacciatore (ff. 61 e 62 ibidem) ha aggiunto: "il salto qualitativo, cioè il passaggio all'uso di mezzi di segregazione e di incatenamento, si è avuto con l'episodio della fuga di Turco e dei suoi amici".
"Le drammatiche conseguenze di quella fuga, cioè il ritorno all'eroina, al carce re, nonché una situazione di notevole incremento nel numero dei tossicodipen denti, capitati nella comunità, le reazioni di fuga per tali motivi si diffonde vano fra gli ospiti più recenti, ci indussero al ricorso a mezzi più drastici, che non avevano funzioni punitive, ma che volevano essere soltanto un ostacolo insuperabile al ritorno all'eroina, un deterrente al coinvolgimento di altri nella fuga; la possibilità di meditare sulla catena rappresentata dall'eroina sulla volontà".
Lo stesso Muccioli ha sottolineato la funzione di esemplarità che sorresse l'adozione della segregazione. Egli infatti ha detto al P.M. (F. 1 voi. imp.)il caso di Turco fu per noi illuminante; fu fatta una riunione nella Comunità e fu deciso che gli stimoli alla fuga sarebbero stati da allora rintuz zati magari con la forza".


In altri casi invece le misure costrittive adottate furono giustificate con ra gioni di carattere terapeutico.
Alessandro Melodia, giunto nella comunità nel maggio del 1982, dopo un periodo in carcere, fu chiuso in una botte di cemento di quattro metri per quattro, perché, a dire del Muccioli (e senza che vi sia in atti un minimo cenno ad un tentativo di fuga di tale tossicodipendente) "se con l'eroina è in una botte, io
metto in una botte" (Colloqui con il perito; faldone 3 ali. 3).
Cacciatore ha più incisivamente illustrato questa tecnica, omeopatica e psicologica insieme, chiarendo, come si è già visto, che "la segrega zione costituiva l'occasione di meditare sulla catena rappresen tata dall'eroina sulla volontà" e aggiungendo poi che "l'uso della catena era assolutamente necessario nei casi come quello di Castone Castellani, per favorire il recupero della lucidità". Infine il Bargiotti, appena liberato per intervento della polizia dal sudicio canile dove fu trovato carico di catene, dichiarò che il Canini lo aveva consigliato "di farsi incatenare per avere contatti extrasensoriali" (V. f. 11 fase. 137/80).
Ma i sistemi della segregazione e del conseguente incatenamento avevano a San Patrignano, nella gran parte dei casi una funzione essenzialmente punitiva.
Di ciò vi è un significativo accenno nelle deposizioni e nei fatti riferiti dal Conti Marco Marcelle, e dal Castellani. Il primo, nell'intervista a il giornale "II Tirreno" (f. 68 fase. 137/80) affermò "tutti volevano scappare dalla comunità; non ci hanno provato per un pò perché avevano paura: per chi disobbediva, botte e settimane di segregazione".
Il secondo ha ricordato(f. 12 voi. testi)che, allorquando dopo una breve sortita fuori di San Patrignano era riuscito ad introdurre un grammo di eroina consumata poi insieme a due amici, " il Muccio li se ne accorse e lo chiuse per una settimana in piccionaia". La teste Sgniaolin Adriana, e in quanto ottanottenne, che era entrata a San Patrignano al sol scopo di assistere il nipote Mosca Walter, tossi codipendente e che vi rimase dal Marzo al Settembre del 1981, ha riferito, al dibattimento, di avere visto, un giorno, avviare "ai tini e alle botti", per esservi rinchiusi per ordine del Muccioli, alcuni giovani, ospiti della comunità, rei di avere fumato un pò di hashish
Ma prove eloquenti di quali fossero le reali intenzioni del Muccioli allorché comminava la segregazione, si desumono dai casi relativi a Gaballo Livia, Patrignani Ambra, Tenan Maurizio ed infine al Leo nardo Bargiotti.
La Gaballo Livia che contava allora meno di sedici anni, fuggita da San Patrignano, all'alba del 20 giugno 1981, giunse a Rimini stanca e affamata e in un bar incontrò l'avvocato Franco Beltrami. Questi, colpito dalle sue cognizioni e dalla di lei giovane età, si offerse spontaneamente di aiutarla e, a sua richiesta, la condusse al vicino Commissariato. Qui la Gaballo (f. 2 fas. 89/81) dichiarò che, nell'Aprile del 1981, i suoi genitori, avendo saputo che ella era solita fumare haschisc, la avevano condotta a San Patrignano. A dire della ragazza, i primi giorni erano stati spaventosi: Muc cioli picchiava ferocemente quelli che lo contestavano e da alcuni, addirittura, venivano, per suo ordine, rinchiusi in piccionaia. Dopo tre giorni essa decise di fuggire con alcune compagne di sven tura, ma il Muccioli, venutolo a sapere, prese ad insultarla e, al le sue proteste, la colpì con alcuni schiaffi e un calcio facendola rotolare a terra; lo stesso poi ordinò che fosse portata in "pic cionaia dove fu lasciata per due giorni senza mangiare. A seguito delle percosse la Gaballo riportò una forte contusione al naso cui era derivata una deformazione del .setto poi constatata  in Ospedale come da certificato del 20.6.1981 (f. 11 del fase. 89/81). Al Procuratore della Repubblica nello stesso giorno, la ragazza confermò integralmente il deposto di]polizia.
Il 6 luglio 198l|al Giudice Istruttore (foglio 17 ibidem dichiarò che tutto quello che aveva detto al P.M. e in Commissariato "era tutto vero".
In tutte le deposizioni la Gaballo riferì anche di numerosi episodi di segregazione subiti da altri ragazzi ospiti della comunità e dei quali non potè indicare che i soli prenomi. La giovane, tuttavia, all'udienza del 19 novembre, ritrattò le surriferite" affermazioni precisando , innanzitutto, di non ricordare i termini della denuncia perché all'epoca "era molto agitata ed esal tata". Aggiunse che, quando era entrata a San Patrignano, assumeva anche eroina senza avere raggiunto però un alto grado di tossicodipendenza e chiarì di avere detto che non si era mai bucata per ché voleva tornare in piazza". In San Patrignano, per di più, ave va ricevuto un trattamento paterno ed umano ed il Muccioli, sapendo che si era prostituita, la aveva a lungo esortata a cambiare vita. Negò di essere- stata segregata, percossa ed insultata come escluse che ad altri fosse stato riservato un simile trattamento.

Dopo tali episodi, si era data all'eroina per tre anni, finché, tornata a San Patrignano, dove tuttora si trovava, aveva conseguito una totale disassuefazione. La ritrattazione dibattimentale della Gaballo, apodittica ed irriducibile, non è certo convincente, sia perché urta totalmente con le sue precedenti affermazioni conferma te in udienza dal teste Beltrami e dalla ispettrice di polizia Virga Maria, sia perché resa in stato di evidente disagio dalla teste. L'avvocato Franco Beltrami, al dibattimento, il 27.11.1984, ha in vero ricordato come, il 20 giugno 1981, verso le otto del mattino, nel bar "Turismo" di Rimini, incontrò una giovinetta tremante e ec citata, che poi seppe essere la Gaballo, e di averla accompagnata, a sua richiesta, al Commissariato. Più tardi, egli poi la ospitò in casa sino all'arrivo dei di lei genitori.
Il Beltrami, confermando le modalità di incentro con la giovane ha aggiunto di avere appreso che costei, prima di entrare nella comune di San Patrignano dalla quale era fuggita, si era associata a gruppi di ragazzi sbandati, di avere preso 'droghe leggere e mai quelle pe santi". La Gaballo gli aveva anche riferito che i genitori la ave vano fatta ricoverare presso l'istituzione del Muccioli al solo sco po di farle cambiare vita, che lì era stata picchiata con percosse al naso e di essere stata rinchiusa come altri ragazzi in una "piccionaia".
L'ispettrice di polizia Virga Maria (udienza del 28.11.1984), che interrogò personalmente la Gaballo il 20 giugno 1981 nel Commissa riato di Rimini, ha rammentato che la ragazza, apparsa "normale, composta e tranquilla", dopo averle narrato di essere fuggita da San Patrignano dove era stata condotta pur non essendo "drogata" le dichiarò anche di essere stata rinchiusa in piccionaia perché "si rifiutava di fare i lavori di cucina", così come lo erano stati altri ragazzi, e di essere fortemente Impaurita di tornare a San Pa trignano. Anche il padre della ragazza, Bruno, del resto, sentito in istruttoria (ff. 8,16 del fase. 89/81) e al dibattimento, ha con fermato che sua figlia era dedita all'uso di marijuana e, avendo egli appreso che "tali droghe equivalevano a quelle pesanti", aveva deciso di condurla a San Patrignano dopo che ella aveva avuto, nell'am bito di tre o quattro giorni solo un occasionale incontro con l’eroina. La Gaballo ha aggiunto (f. 16 ibidem) di avere appreso dalla viva voce del Muccioli che la Livia era stata rinchiusa perché voleva andarsene a fare la prostituta. Certamente, dunque, la ragazza al momento del suo ricovero in San Patrignano (aprile del 1981) non era tossicodipendente da eroina anche se, per avventura prima di tale epoca, vi fosse stato un saltuario incontro con tale sostanza di certo insufficiente ad instaurare una tossicodipendenza" che con segue solo al consumo abituale e non a quello occasionale. Né può sostenersi che un tale stato insorga dopo un uso anche pro lungato di derivati della canapa indiana.
Invero gli studi compiuti su tale droga e le indagini effettuate nel corso di varie inchieste (in America nel 1944,nel 1972 e per due volte nel 1973) in Olanda (1972)in Gran Bretagna (1968) e, più compiutamente in Canada (1970, 1972, 1973) consentono di affermare che dall'uso dei cannabinoidi può derivare una dipendenza psichica con insaziabilità ed urgenza senz'altro inferiori al tabacco; che non si instaura dipendenza fisica, in quanto alla sospensione del l'uso non consegue mai sindrome di astinenza; che l'uso prolunga to non produce tolleranza (la tendenza cioè ad aumentare progres sivamente le dosi per ottenere l'effetto desiderato) ma che, an zi nei consumatori di canapa, si manifesta frequentemente, dopo un certo tempo, la e. d. "tolleranza inversa" e cioè la diminuzione dell'uso dei quantitativi ottenendosi egualmente i risulta ti voluti.
Gli effetti nocivi fisici e psichici della canapa sono poi incerti nella loro entità e contestati, sia pur contraddittori a mente, dai vari autori, ed è comunque certo che in alcuni stati americani la canapa è stata di recente reintrodotta nella farmacopea ufficiale per le sue qualità terapeutiche in alcune malattie (quali il glau coma, la anoressia conseguente a taluni casi di tumore e e e. . ) . Né infine può sostenersi che determinate cautele, addirittura equi parabili al ricovero coatto, possano giustificarsi nei confronti di assuntori di T.H.C, con il pretesto  che la canapa sarebbe, sem pre ed in ogni caso una droga "di passaggio".
Invero la teoria dell'escalation e della "progressione theory" è contestata ancora oggi da più parti.
Certamente, anche se l'esperienza, conseguita, persino nelle aule di giustizia, consente di affermare che la gran parte degli eroi nomani hanno avuto esperienze pregresse con la canapa indiana, è per altro assolutamente assodato che non tutti i consumatori di T.H.C, divengono eroinomani All'uopo sarà sufficiente confrontare il numero delle persone dedite all'uso di canapa nel mondo e che si contano nell'ordine di decine di milioni, con quello, per for tuna estremamente più ridotto degli eroinomani (cfr. tra gli altri per tutti, i risultati dell'inchiesta Canadese del 1972 e quelli dello stesso anno della Commissione U.S.A) per convincersi della fragilità di tale tesi.
Nel caso della Gabaìlo, dunque, mentre deve escludersi, al momen to della sua permanenza in San Patrignano, una qualunque condizione di farmacodipendenza da eroina, può affermarsi che la restrizione della di lei libertà personale, confermata tra l'altro dai testi Sgnaolin Adriana (f. 49 voi. testi) Scandurra Laura (f. 52 ibidem) e Casarini Monica (f. 50 sempre voi. testi) ebbe finalità esclu sivamente punitive, come del resto confermate dallo stesso Muccioli in più occasioni, il quale ammise di aver segregato la gio vinetta perché "voleva andarsene per fare la prostituta". Anche la Patrignani non fu accolta a San Patrignano perché tos sicodipendente, ma, per affermazione dello stesso Muccioli ( f . 8 2 O , fase. 137/80), che escluse tale suo stato, solamente "per ristrutturare il suo devastato rapporto familiare".


La ragazza ha confermato le ragioni del suo ingresso nella comune (avvenuto il 1° giugno 1981 e conclusosi dopo la morte del marito Mosca Walter avvenuta il 9.9.1981) ed ha specificato di essere stata sino ad allora consumatrice di droghe leggere o solo occasionalmente di eroina e cocaina.
Ella, comunque, fu ammessa (f. 55 voi. testi) a San Patrignano perché restasse vicino al coniuge Mosca Walter che, invece era tossicodipendente profondo e alla loro figlioletta Barbara pres soché decenne. Ha ammesso che sia lei che il marito, all'interno della comunità, tennero condotte sessuali sregolate avendo rapporti carnali con terzi. Proprio per questo il Muccioli la segregò due volte: la" prima per la durata di una settimana per circostanze da lei non rammentate . e la seconda, protrattasi per 15 giorni, proprio perché aveva cercato di congiungersi carnalmente con l'imputato Bernardi. In occasione della seconda segregazione ella aveva un arto" inferiore ingessato ed era portatrice di stampella il che accrebbe la sua sofferenza. Ha riferito anche di avere visto ragazzi percossi dal Muccioli e per ordine di questi rinchiusi in piccionaia; di avere saputo di altri chiusi nelle botti e di avere visto delle catena fissate ad un letto. 
Al dibattimento la giovane, premesso di "avere la mente annebbiata e di non ricordare quanto dichiarato al Giudice Istruttore", ha confer mato le ragioni del suo ingresso a San Patrignano ed ha ripetuto che, proprio per la sua condotta sregolata, fu rinchiusa una prima volta, per un paio di giorni, "in  una stanzina con un  letto vicino ad un capanno (vedi udienza del 26.11.1984)e  una seconda volta per 15 giorni in un altro stanzino, adiacente al laboratorio di pellicceria così angusto che non le consentiva di muoversi a suo agio "anche per la sua gamba ingessata".
La segregazione della Patrignani è stata confermata sostanzialmente dalla madre di Mosca Walter, Sgnaolin Maddalena, e dalla zia, Sgnaoli Adriana, più volte citata, e che si trattenne a San Patrignano dal marzo ai settembre, lavorandovi come inserviente di cucina, per il solo scopo di essere vicino al nipote, alla piccola Barbara e alla Patrignani.
Ma le ragioni del  reiterato sequestro di Ambra Patrignani sono illustrate in maniera eloquente dallo stesso Muccioli e dalle sue dichiarazioni  emerge, al di là di  ogni  dubbio, che la giovane fu privata della sua  libertà,  non per impedirle di "tornare in piazza a bucarsi,   incorrendo così   in grave pericolo per la sua persona",  ma esclusivamente con finalità afflittive e punitive. L'imputato, dopo aver dichiarato(f.  808 al  P.M.  dottor Vitale del  Tribunale dei Minori  di  Bologna)  che "la Patrignani  aveva manifestato sin dal suo  ingresso nella comunità  una  notevole  inclinazione  ai rapporti carnali persine omosessuali", al  dibattimento  (ud. del 13 novembre 1984) nel   suo interrogatorio,   ha confermato che "il comportamento della Patrignani  era disdicevole ed ella,  che era stata accolta unicamente "per assistere il  marito Mosca Walter profondamente intossi cato", minacciava di trasformare  la comunità  in una casa di  tolleranza",  ed am mettendo,sempre nella stessa udienza,  che "la ritenzione dell'Ambra era dovuta alla  sua condotta  immorale".

Il caso di Tenan Maurizio rivela ancora come l'intento punitivo fosse predominante nel Muccioli e nei suoi collaboratori allorquando veniva ordinata le segrega zione di un ospite.
In proposito va subito detto che  la difesa ha minimizzato il  caso Tenan,  sia per ché costui, irreperibile, non è stato ascoltato al  dibattimento,  sia perché  il di lui assunto sarebbe stato smentito da una teste di  un certo rango. Il Tribunale,  però,  non vede come,(pur essendo mancata  la possibilità di  valuta re direttamente il teste)  si  possa rifiutare credito alle affermazioni del Tenan che, in sostanza,  non hanno che convalidato  la circostanza che a S.  patrignano, in non pochi  casi,  si  adottavano misure coercitive assolutamente illegittime e per fini  del tutto diversi  dal  recupero dei  tossicodipendenti. Orbene,   il  Tenan,  presentatosi  spontaneamente al  Commissariato di  Rimini,   il  29 Ottobre  1980  (e cioè  il  giorno successivo alla  liberazione dei  ragazzi  trovati incatenati),  denunciò formalmente  i  seguenti  fatti.
Egli, tossicodipendente,  abitava da due anni  presso una certa contessa Kechler, la quale lo accompagnò nel giugno  1980 a San Patrignano perché fosse ivi  ac colto.  Muccioli oppose un rifiuto,  che reiterò una seconda volta,  a seguito di analoga richiesta.il   12 ottobre  1980,  però,   la Kechler raggiunse un accordo con il Muccioli  nel  senso che questi  avrebbe consentito l'ingresso del  Tenan  in co munità e la contessa avrebbe,  dal  suo canto, mandato con  lui  un cavallo puro sangue arabo di  nome "Mabruck",  che sarebbe stato accudito nelle scuderie del Muccioli  dal  giovane che,  già,  da tre mesi  era disintossicato. A San Patrignano il  denunciante iniziò la su^pera di  stalliere, ma essendo contrario a che tutti  cavalcassero Mabruck,  decise di  allontanarsi  dalla comunità. Raggiunto per strada da un gruppo di  ragazzi  guidati  da  Francesco l'infermiere (il  Giannatempo)fu riportato a San Patrignano    dove fu rinchiuso  in un pollaio, incatenato mani  e piedi.  Da  lì,  per il trattamento inumano che gli  era stato co sì  inopinatamente riservato,  cominciò a supplicare,  finché la  "ragazza delle muc che".si  fece interprete del  suo dolore e fu  liberato. Il  Tenan ha riferito di  avere visto  in quei  giorni   

(si  era nell'ultima decade dell 'ottobre 1980) altri ragazzi incatenati, di avere conosciuto la Cesarini Maria Rosa, che fuggì da San Patrignano e di essere stato interpellato proprio dal Muccioli sulle sue conversazioni con la predetta Cesarini, dopo la fuga di costei.
La contessa Kechler Roberta Lazzaroni, amica di Gianmarco Moratti (sostenitore indefesso di San Patrignano) ha precisato di avere conosciuto il Tenan che aveva un vissuto di droga, di tentativi di suicidio e di piccoli delitti, in carcere dove ella prestava, a suo dire opera di assistente sociale confermando che il ragazzo entrò a San Patrignano in coincidenza con l'arrivo colà del cavallo Mabruck. Ha chiarito però che il giovane era presente "il 24 ottobre 1980, e non il 20 di quel mese, e che fuggì da lì il giorno dopo o la stessa mattina del l'irruzione della polizia". Tornò a Milano presentandosi nella di lei abitazione e informandola che aveva denunciato il Muccioli, ma non raccontandole di essere stato a sua volta segregato.
La deposizione della Kechler, pertanto come si vede, non suona assolutamente a smentita della denuncia del Tenan, pur essendo evidentemente sottesa a fiancheg giare l'operato del Muccioli.
Resta ora da esaminare il caso di Leonardo Bargiotti che, in tutta la vicenda di San Patrignano, costituisce il fatto più drammatico e commovente. Il giovane, che allora contava 22 anni fu portato in Commissariato munito di foglio di via perché facesse ritorno a Firenze, sua città di residenza. Per ragioni senz'altro riconducibi1i al suo stato mentale, salì invece su di un convoglio ferroviario diretto verso il nord e, in circostanze rimaste tuttora sconosciute, fu rinvenuto in fin di vita sulla massicciata ferroviaria nei pres si di Castelfranco Emilia.
Morì nell'Ospedale di Modena, senza aver ripreso cono scenza, il 30 ottobre 1980. La sua vicenda fu ricostruita attraverso le dichiarazioni rese in polizia il 28 Ottobre 1980 dallo stesso(f. 11 fase. 137/80) e in istruttoria dagli imputati e da numerosi testi.

Bargiotti entrò a San Patrignano il 9 giugno 1980 perché affetto da grave tossicodipendenza da eroina. Dopo un mese era riuscito a smettere di bucarsi e aveva così iniziato "a dare una mano" nei vari servizi della cooperativa. Fu però rinchiuso in un ex canile (vedi rilievi fotografici a f. 29 fase. 137/80) e legato dal Canini con una lunga e robusta catena al polso destro, "assicurata ad una seconda porta". Per i bisogni fisiologici usava dei contenitori igienici ed era costretto a consumare i pasti , incatenato, portandosi il cibo alla bocca con la mano sinistra. Fin dal primo giorno della sua prigionia, chiese ripetutamente alla Canini, che aveva le chiavi delle catene, di farlo uscire, ma costui rimase sordo ad ogni sua in vocazione e fu anzi da questo percosso con un pezzo di legno alla mano ripor tando lesioni, poi constatate in Ospedale lo stesso giorno, quali "ematoma sup purato al primo dito mano sinistra guaribili in giorni 11 (v. certificato medico f. 13 fase. 137/80).
Durante b detenzione nessuno venne a fargli visita perché così era stato ordinato dal Muccioli. Ma il Bargiotti non era certamente semplicemente un tossicodipendente. I testi escussi in istruttoria hanno offerto invero elementi precisi e concor danti dai quali si desume che il giovane fosse affetto anche, con\la più alta probabilità da insania mentale.
Cesarini Maria Rosa (alla polizia f. 9 fase. 137/80) affermò che, quando Leonar do giunse a San Patrignano, era solo tossicodipendente ma che successivamente mostrò segni si squilibrio mentale.
Al Giudice Istruttore la ragazza riferì poi (f. 15 voi. testi) "di avere visto il Canini picchiare con un segno il Bargiotti, che voleva essere portato da uno psicanalista. Il ragazzo parlava di esorcismi e di essere rimasto sconvolto da un viaggio in Calabria".
Farnetti Mauro (f. 8-8/B voi. testi) fu più preciso ricordando che il Bargiotti, quando giunse a San Patrignano, era tossicodipendente da eroina e da morfina e per di più affetto anche da sifilide, curata poi al Niguarda di Milano. Sempre a dire del Farnetti, il povero Leonardo andava spesso "giù di testa e ca deva 'in -stato confusionale11, tanto è vero che al campeggio estivo di Sapri nel l'Agosto del 1980, usci un giorno dal gabinetto tutto cosparso di escrementi esclamando "noi siamo meno che merda". ,x
Le deposizioni di alcuni lavoranti nella pellicceria appaiono ancora più significative.
Sacchetti Marinella, tuttora ospite di S. Patrignano, al Giudice Istruttore f. 41 voi. testi)dichiarò che quando il Bargiotti arrivò a S. Patrignano era "distrutto e disperato" e fu ricoverato per dieci giorni in un ospedale mila nese. In Calabria, al campeggio estivo, iniziò a tenere un comportamento strano. Secondo la Sacchetti "stava fermo per lungo tempo sulle rive del fiume, correva nudo per i campi, faceva il bagno vestito".
Tornato a S. patrignano proseguì in tali atteggiamenti ed un giorno si sdraiò per terra gridando che "voleva fecondare la terra". Fu messo 'a lavorare in pellicceria, ma siccome faceva il contrario di quello che gli si diceva, sia lei che il Canini e il farneti, ognitanto, gli davano qualche "sberla". Il Canini, poi, una volta, lo colpì ripetutamente con un'assicella, tanto che il ragazzo si rannicchiò su se stesso sotto la gragnola di quelle percosse. 

Dopo qualche giorno vide il Bargiotti che veniva portato in "piccionaia". Giardino Maria, che rea un'esterna di S. Patrignano e dipendente della pellicceria, nella stessa sede (f. 38 voi. testi) ha confermato il comportamento del Leonardo ricordando che questi faceva sempre il contrario di quello che gli veniva ordinato; "si spruzzava in bocca l'acqua di un pupazzo; si masturbava in pubblico e si sporcava di sterco". Montanaro Cristina (f. 39 voi. G. I.) si rese conto che il Bargiotti era uno squilibrato, perché orinava sulla mani di quelli che si stavano lavando, si masturbava in pubblico e si sporcava di feci e per questo fu rinchiuso in piccionaia. Gli stessi imputati hanno concordato sulla personalità a dir poco abnorme del Bargiotti.
Il Muccioli (f. 53 al G.I.) sapeva che il ragazzo era un omosessuale, si prostituiva e si travestiva, che in Calabria, si era cosparso di sterco, ma ritenne che "facesse confusione nelle sue condizioni di tossicodipendente" diagnosticando i suoi atteggiamenti frutto di mistificazione. Il Cacciatore (f. 14 retro voi. imp.) ha dichiarato che il Bargiotti orinava per terra dicendo che "ciò era un modo per collegarsi con suo nonno" e che fu rinchiuso perché "era in istato di non lucidità".
Il Canini (f. 50 retro voi. imputati) ha ammesso di avere percosso lievemente il Bargiotti "per scuoterlo perché stralunato" e costantemente impegnato in "masturbazione mentale"; orinava sul letto dei compagni e si copriva di escrementi.
Lo Scozzari (f;45 voi. imp.) ha detto di ignorare sino a che punto il Bargiotti "fosse normale psichicamente e agisse quindi per esibizionismo o fosse ad dirittura psichicamente menomato". "Certamente era un travestito che poneva il sesso al culmine di tutto, si masturbava pubblicamente e compiva gesti di disprezzo verso se stesso come il ricoprirsi di stereo".
Il Di Lauro (f. 42 voi. imp.) ha riferito che il Bargiotti era "psichicamente andato nel senso che non aveva piena conoscenza e che pertanto gli doveva es sere impedito di allontanarsi".
Lo sconvolgente quadro delle condizioni del giovane ha trovato conferma, al dibattimento dove il padre di Leonardo, Luciano, ha reso una deposizione venata di intensa commozione, peraltro ostinatamente ignorata dalla stampa e totalmente negletta dalla difesa.
L'uomo ha riferito al Tribunale che suo figlio da tempo tossicodipendente ave va deciso di ricoverarsi a S. Patrignano, dove a suo dire vi "era un santone che faceva tanto del bene ai drogati".
Dopo qualche tempo aveva rivisto Leonardo a Firenze, accompagnato da un giova ne della cooperativa, ed in quell'occasione, aveva constatato con sollievo le sue buone condizioni di salute.
Dopo una breve ricomparsa presso la loro casa, Leonardo, a distanza di qualche giorno, era stato trovato girovagante sulla spiaggia di Rimini e quindi riac compagnato a S. Patrignano. Preoccupato, era allora tornato nella comunità, e dal Muccioli aveva appreso che suo figlio stentava ad inserirsi fra gli altri e ad imparare un qualche lavoro.
'Avendo appreso un giorno, per telefono, che Leonardo voleva tornare a casa "perché il babbo era morto", si era portato nuovamente a S. Patrignano e lì aveva trovato il figlio notevolmente dimagrito, assente e "Impaurito" a seguito di alcune sedute medianiche tenute al campeggio.
Alla sua preoccupata proposta di far visitare il figlio da un medico, Muccioli; però, aveva risposto che Leonardo stava sostanzialmente bene e che il di lui comportamento doveva essere interpretato con l'intento di attirare l'attenzio ne su di sé.
Dopo qualche giorno la moglie lo aveva avvertito di aver avuto una conversazione ne telefonica con Leonardo che età uscito in discorsi sconclusionati ed incom prensibili. Egli subito parlò con Muccioli chiedendo di far visitare il figlio dalla dottoressa Quattrocchi dell'Ospedale Psichiatrico di S. Maria Nova dT Firenze che si era dichiarata disponibile a recarsi addirittura a Coriano. Anche questa volta il Muccioli lo aveva dissuaso ritenendo tale intervento superfluo perché Leonardo "faceva così solo saltuariamente".
Il teste ha poi ricordato che il povero giovane era omosessuale, e che la sua
prima moglie, madre dello stesso Leonardo, morta nel 1978, era stata per 18 anni affetta da "sindrome depressiva confusionale" che la aveva costretta a frequenti ricoveri in ospedali psichiatrici e ad un continuo e costante con trollo medico. Ha concluso precisando dì essere rimasto "scioccato" dalla notizia che il fi glio era stato incatenato e rinchiuso, perché mai, nei vari colloqui con il Muccioli, gli era stata prospettata la possibilità dell'uso di tali mezzi, immaginando altresì quale fosse stata la sofferenza di Leonardo in quelle condizioni, perché "era un ragazzo buono, contrario alla violenza e che non dava fastidio a nessuno".

Il Bargiottì,dunque, era sicuramente oltre che un tossicodipendente profondo anche uno psicopatico.
Il ricorso ad uno masturbazione così smodata da far pensare ad un onanismo ossessivo, il travestitismo, ricordato dallo stesso Muccioli, l'omosessualità, riconosciuta da tutti gli imputati e riferita anche dal padre, costituiscono la sintomatologia di una grave forma di deviazione sessuale che avrebbe richiesto un'esplorazione attenta del caso per l'individuazione esatta della sindrome specie in presenza di un elemento, altamente eloquente e significativo, costi tuito dalla malattia mentale della madre costretta per diciotto anni a perio dici ricoveri manicomiali.
Questi dati obbiettivi, che dovevano porre in allarme chiunque, non sfioraro no invece minimamente ne il Muccioli né i suoi operatori, i quali, con sconfi nata presunzione nelle loro capacità, restarono sordi ed indifferenti alla preoccupazione e alle richieste del padre di sottoporre a visita psichiatrica il giovane, nei cui confronti invece, senza necessità alcuna, essendo egli sempre rientrato docilmente in comunità, furono adottate impietose misure di contenzione motivate con scopi terapeutici e psicologici insieme. Le sofferenze cui fu sottoposto Leonardo Bargiotti, chiuso in un canile, inca tenato e percosso, non possono dunque trovare giustificazione alcuna e tanto meno in quella di salvare il ragazzo da un pericolo non altrimenti evitabile. Quel trattamento rievoca i tempi foschi in cui la follia veniva curata con la violenza e richiama sistemi che la stessa legislazione dei primi anni del nostro secolo aveva già definitivamente ripudiato con l'introduzione di rego le che assicuravano al malato, pur nelle inevitabili sofferenze, una tutela sufficientemente umana.
La condotta degli imputati ai danni del Bargiotti appare poi assolutamente in compatibile anche con i principi di tutela della libertà e della dignità del malato che sono stati sanciti dalla Costituzione e che hanno trovato conferma e applicazione nelle norme di cui alla Legge 180 del 1978 secondo la quale, gli eventuali accertamenti e trattamenti obbligatori devono essere sempre di sposti, con le debite garanzie, nel rispetto della dignità della persona e con la conseguente limitazione di tutte le condizioni che comunque impedisco no all'individuo malato l'esercizio dei suoi fondamentali diritti. L'esame dei casi così effettuato nella trattazione che precede, consente dunque di affermare, che, tanto nella ipotesi in cui il trattamento restrittivo fu imposto agli ospiti tossicodipendenti, e ancor più nei casi di coloro che tossicodipendenti non erano, esulano gli estremi della causa di giustificazione di cui allearti. 54 C.P., perché il sequestro di persona fu adottato per ra gioni diverse da quelle della necessità cogente di salvare altre persone da un pericolo attuale, grave ed incombente.
Del resto, e anche a voler per mera ed esclusiva completezza di argomentazione, accedere momentaneamente alla tesi difensiva che la segregazione sia, in qualche fase de-lla cura del tossicodipendente, necessaria per salvarlo e favorirne quin di, la successiva guarigione, non può non rilevasi che tutta la letteratura e la esperienza della generalità delle altre comunità terapeutiche anche straniere, sono contrarie  all'uso della violenza nei confronti dei tossicodipendenti. Vittorino Andreoli (ne "II medico e la droga. Masson) ha chiarito che, per l'im plicazione psicologica del trattamento (del drogato), esso perderebbe di signi ficato se venisse condotto obbligatoriamente, in quanto ogni intervento di tipo psicologico ha bisogno della collaborazione e quindi della motivazione ad esso da parte del paziente. Secondo l'autore "è dunque erroneo, e perlomeno utopi stico, programmare interventi di riabilitazione psico-sociale obbligatori ." e che "in questo senso gli articoli della legge 685 del 1975, che prevedono l'obbligatorietà del trattamento ed impongono un determinato terapeuta, non considerano sufficientemente la dinamica che si deve creare tra terapeuta e. paziente sulla cui base soltanto è possibile fondare le prospettive terapeutiche". Ne consegue, quindi, che "la volontarietà è la condizione necessaria alla seconda fase del trattamento cioè in quello psico-riabilitativo". Luigi Canarini, va ben al di\là di simili affermazioni, preoccupandosi addirittura che il trattamento coattivo previsto, con le pur ampie, garanzie giurisdizionali per, il malato, dalla legge 685 agli articoli 100 e segg. , sia non solo limitati vo vdèTl a libertà, ma addirittura foriero di pericoli per il tossicodipendente.
In un suo libro (di cui è coautore con Meucci e Malagoli-Togliatti ) "Droga" ed. Sansoni paq. 253 il Cancrini manifesta così la sua perplessità "il giudice (il Tribunale delle Tossicodipendenze formatocela due esperti nominati dal Con siglio Superiore della Magistratura) dispone, gli interventi del caso (sul tossicodipendente) sino al ricovero ospedaliero", E' vero, che la legge precisa che devono essere esclusi gli ospedali psichiatrici, ma la natura del decreto del giudice della droga non è in sostanza diverso dal ricovero in manicomio e potrebbe darsi che si trovi un giudice che esiga, non solo l'accompagnamento coattivo del drogato in ospedale, ma che questo sia organizzato in tal modo da "contenere'' e "custodire" il ricoverato in modo del tutto analogo a quanto avviene in manicomio". Pertanto conclude l'autore che, pur avendo la legge prevista la misura del ricovero solo nel caso in cui sia assolutamente necessario, essendo tale necessità rimessa all'apprezzamento di un giudice, sia pur specializzato, "vi è sempre da temere che possano prevalere istanze repressive, frutto di in cultura e ideologie fasciste".
(Nota mia: come si vede, il Cancrini non perde occasione per segnalare quanto sia negativo il fascismo e quanto sia autoritario e quindi antilibertario. In conclusione, se anche qui potrei essere d'accordo, è il modo con cui si giustifica tale situazione giudiziaria, possibile arbitrio, che per me è rivelatore della mancanza di presupposto di scientificità. Per non dire poi che voglio vedere quanta competenza può realmente possedere in una materia talmente ostica, un giudice, sia pure specializzato, credo sia questo il termine usato dal Cancrini. Aggiungo anche che se mi fosse stato chiesto un parere o consulenza, non ci avrei pensato un attimo e mi sarei tirato fuori da una simile situazione dove la scientificità è sempre sul filo della legge, troppo tagliente...).

Gli esperti dei problemi e della metodologia delle comunità terapeutiche sono poi manifestamente centravi al mezzo repressivo della libertà personale. Così/si sì sono espressi in numerose pubblicazione ed interventi Don Mario Picchi (in tervista sull'uomo e sulla droga. Bompiani), il responsabile della Comunità Abele e il C.N.C.A.(coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza ) che è portavoce di oltre sessanta gruppi e comunità dell'area del volontariato che operano nello stesso settore dell'emarginazione sociale specie giovanile. Recentissimamente, in occasione del primo degli Incontri interregionali sulla droga" tenutosi a Milano 1*8 marzo 1985 alla presenza del Ministro dell'In terno on. Scalfaro, che ne\à il promotore, è stato tra l'altro affermato: "Va battuta la linea che schiene . che qualsiasi mezzo va bene (compresa la re clusione coatta) se il fine è l'uscita dal tunnel della droga; va contestata l'idea che esistono pratiche terapeutiche standardizzate; va infine respinta l'idea che il tossicodipendente sia capace di intendere ma non di volere: in realtà ogni drogato è portatore di bisogni specifici, la dignità del quale va assolutamente rispettata".
Nella letteratura straniera, infine basterà ricordare Wobcke (in "Tossicodipendenza: prevenzione e terapia", ed. Città nuova 1982) il quale, dopo avere avvertito, ai fini di un'efficace terapia del drogato che occorre evitare rigorosamente ogni sentimento di colpa nel cliente, aggiunge che il trattamen to - dei tossicodipendenti diventa molto difficile se essi lo subiscono come costrizione. Pertanto è fondamentale distinguere tra il trattamento di chi vi si sottopone liberamente e di chi lo subisce ad onera dei genitori degli educatori, della giustizia e degli operatori sociali. Nell'esaminare le regole delle Comunità Terapeutiche,  con riferimento a quelle americane e della Repubblica Federale tedesca, il WobcKe os serva che la terapia adottata, fondamentalmente, si rifa a queste regole: divieto di uso di droghe, nessuna violenza o minaccia di essa, obbligo di adesione alle decisioni comunitarie, limitazioni dei contatti esterni e divieto di allacciare rapporti con l'altro sesso durante i primi tre mesi con la sanzione, per chi non le osserva del definitivo allontana mento dalla istituzione.

La stessa difesa, nel tentativo di avvalorare la legittimità dei metodi adottati dal Muccioli Ha ricordato che in Italia esiste una comunità chiusa, la Bersoom di Padivarma (La Spezia), nel cui regolamento è pre vista la cattura del tossicodipendente che fugga dalla comunità, dimen ticando però di dire che, in tale istituzione, l'ospite dopo il secondo tentativo di fuga viene definitivamente dimesso (v. Documenti 83 già cita to pag. 73).
Può pertanto concludersi che la violenza e la privazione della libertà personale non costituiscono certamente il mezzo per salvare il drogato dalle sue condizioni di sia pur grave disperazione.
La difesa ha prospettato anche l'ipotesi della sussistenza nel caso di .'-specie, dell'esimente putativa di cui all'art. 59 del C.P. sempre con riferimento allo stato di necessità. E' risaputo che la discriminante di cui all'art. 54 C.P. deve essere applicata anche quando la inevitabilità del pericolo non sia reale, ma derivi da un giustificabile convincimento dell'imputato: ciò perché in tema di esimente il putativo equivale al reale.
Le ragioni che hanno indotto ad escludere la sussistenza dello stato di necessità dianzi esposte, da sole sarebbero sufficienti a rendere inap plicabili, nel caso in esame, la disposizione di cui all'art. 59 C.P. Il Tribunale tuttavia, vuole sottolineare altre non trascurabili con siderazioni .
La Corte di Cassazione, con una giurisprudenza ormai conforme ha de ci so che non ogni errore può essere posto a fondamento della putativa del_ lo stato di necessità, ma solo quello che sia logicamente scusabile (cfr. Cass.2.12.1969 in GiuSt. Pen. 1971, 11,419).
Molto più di recente, lo stesso Supremo Collegio ;ha confermato che "l'esimen te di cui all'art.54 C.P.;'può essere invocato utilmente da chi agisce nell'erronea -convinzione di trovarsi nello stato di necessità, pur se difetta no i requisiti obiettivi di tale situazione, sempre che, a fondamento della predetta convinzione, venga posto -un errore logicamente scusabile (Cass.2 febbraio 1984 in Giust. Penale 1984, 714, 769).
Ora, che il Muccioli, definito dai consulenti tecnici di parte "uno dei maggiori esperti internazionali di comunità per tossicodipendenti" (f. 92 del la consulenza di parte) e che, per sua dichiarazione, (v. interrogatorio al dibattimento) impartisce periodicamente all'Università di Palermo lezioni sul la droga a quei docenti, possa essere stato indotto in errore sulla legitti mità dei mezzi da lui usati per recuperare i tossicodipendenti, è cosa diffi cile a credere per chiunque, e tanto più per lo stesso imputato. A tutto concedere, e senza con ciò contraddire minimamente quanto fin qui so stenuto, l'ipotesi dell'errore potrebbe, e solo per amor di tesi, prospettarsi nei casi di sequestro di persona accertati sino al 28 ottobre 1980, all'e poca cioè della irruzione della polizia in S. Patrignano. La condotta degli imputati successiva a tale data non è però comunque scusa bile, né spiegabile, e tantomeno riconducibile, in qualche modo, a di un suppo sto errore della sua legittimità.

Occorre invero tenere presente che quando il' G.I. con ordinanza 1.12.1980 scarcerò tutti gli imputati, "per sopravvenuta mancanza di indizi" motivò che essi, segregando ed incatenando i tossicodipendenti,
ospiti della Comunità di\S. Patrignano, avevano agito nell'erronea convinzione di essere stati costretti a salvare i medesimi- dal pericolo di un gra ve danno alla persona". Non può sfuggire a nessuno che l'ordinanza e la sua motivazione ebbero evidente mente , come si evince del resto da tutto1 il contenuto dell'ordinanza di rinvio a giudizio, carattere meramente strumentale per giungere alla scarcerazione momenta nea degli imputati ai quali, ostandovi l'art. 1 della Legge Reale, non poteva es sere concessa la libertà provvisoria, beneficio invece adottato dal giudice istruttore per gli altri reati sino allora contestati.
Comunque è certo che gli imputati in quella occasione furono edotti della illegit timità del loro comportamento, tanto vero che 1'allora presidente della Cooperati va -di S’ Patrignano, Armuzzi Romeo (f. 18 voi. testi) assunse, davanti al Giudice Istruttore, preciso obbligo di rinunciare, a partire da quel momento, "a qualsiasi forma di segregazione o violazione della libertà personale" nei confronti degli ospiti della Comunità.
Non si vede allora come possa, decentemente; parlarsi di errore logicamente scusa bile sull'uso di certi'-mezzi di contenzione, nei casi, successivamente verificato-si, di Alessandro Melodia, di Casarini Monica, di Stanziane Maria, nonché, e so prattutto, nei confronti di coloro che tossicodipendenti non erano quali Gaballo Livia, Tenan Maurizio e Patrignani Ambra e di tutta quell'altra schiera di persone che, per i riferimenti fatti da numerosi testi dianzi richiamati, furono avviati per ordine del Muccioli, in "piccionaia", 'lai tini" e"alle botti". Il delitto di sequestro di persona, in assenza di eause di giustificazione che ne escludono la antigiuridicità, è, poi, ontologicamente perfetto. Sussiste ovviamente l'elemento materiale consistente nella privazione della liber tà della locomozione e che, nel caso-di specie, si è realizzato attraverso mezzi costrittivi di particolare efficacia quale l'uso di angusti locali e l'im piego di robuste catene di ferro assicurate al muro.
Indiscussa anche l'esistenza dell'elemento psicologico che il reato di cui alfart. 605 C.P. postula solo nella forma generica. Il Tribunale non ignora certamente che un1 autorevole dottrina ha sostenuto che, per la sussistenza del dolo, occorre la consapevolezza' del carattere antisociale del fatto e cioè la conoscenza dell'antigiuridicità. E' tuttavia necessario sottolineare che lo stesso autore av verte che nei casi in cui "l'agente conosceva il divieto della legge, egli è in dolo anche se ritiene che la sua azione in generale sia addirittura utile so cialmente".
Comunque la Corte di Cassazione, con insegnamento uniforme, e proprio in ordine al convincimento di liceità da parte dell'agente, con riferimento al delitto di sequestro di persona, ha stabilito che "ai fini della sussistenza del reato di cui all'art.605 C.P; non ha importanza il fatto che la privazione della libertà di locomozione non sia stata fine a se stesso, ma sia stata diretta ad un altro e determinato risultato; cosi come ai fini del dolo richiesto non ha alcun rilievo la supposta convinzione di agire nel giusto, essendo questa figura estranea alla figura del dolo, come si ricava dal principio fondamentale enunciato dall'art. 5;C.P." (Cass. 30.3.1976 in Giust. Pen. 1977, 11,224). Tutti gli imputati pertanto devono essere dichiarati responsabili del reato di sequestro di persona loro rispettivamente ascritti ai capi A), I)), M), P); nonché dello stesso delitto commesso in danno di Bargiotti Leonardo, Tenan Maurizio, Patrignani Ambra, Casarini Monica.
Il Muccioli e i suoi collaboratori devono essere invece assolti, sia pure con formula dubitativa, al delitto di sequestro di cui al capo S) della rubrica relativamente ai fatti, nei quali le persone offese dal reato risultano con il solo nome di battesimo.
Ciò non perché non sia sufficientemente accertata la materialità dei singoli episodi, ma unicamente perché la mancata completa identificazione delle vittime non ha consentito al Tribunale un rigoroso riscontro delle loro posizioni e la verifica di ogni necessario elemento, cosi da poter sorreggere con la più assoluta, necessaria certezza, un giudizio di responsabilità degli imputati in ordine alle dette deposizioni. Con il reato dissequestro concorre quello di maltrattamenti, reato autonomo con .oggetto giuridico diverso che, pertanto non 'può essere assorbito in quello di cui: all art. 605 C.P.

La difesa ha sostenuto la insussistenza di tale delitto assumendo che il Muccio li ,e gli altri imputati si sarebbero limitati a sporadiche e occasionaci', azioni
lesive nei confronti degli ospiti della Comunità senza però realizzare una attività persecutoria continuata, tale da rendere insopportabilmente doloroso il rappor to di convivenza con le persone sottoposte alla loro autorità. Senonchè è appena il caso di rammentare al riguardo, ed in un con i casi diret tamente contestati, che, secondo quanto dichiarò il Costi nell'intervista al Tir reno, "per che disobbediva erano previste botte o settimane di segregazione"; che il Rubini, oltre ad essere incatenato, fu segregato in condizioni disumane in un canile nel quale era impossibile il riposo; che il 


Sola Massimo fu rinchiuso al freddo, al sudiciume, e fu picchiato dai suoi catturatori all'atto di essere riportato a S. Patrignano; che il Turco, non solo subì lesioni a causa dei pugni e dei calci ricevuti, ma fu anche più volte ingiuriato tanto che egli ebbe a definire S. Patri gnano "un inferno"; che la Gaballo, ricordando come il Muccioli "picchiasse feroce mente", a sua volta, fu colpita con schiaffi e calci tanto da riportare una lesione al setto nasale; che la Patrignani vide Muccioli picchiare suo marito-Mosca Walter e rovesciargli un piatto di spaghetti in testa prima di essere a sua volta segrega ta in un angusto locale nonostante avesse una gamba ingessata; che la Stanzione, dopo avere visto come il Muccioli percuotesse frequentemente i suoi ospiti, fu, es sa pure, fatta segno di ingiurie e percosse: che infine Sgnaolin Adriana riferì di avere assistito ad una scena violenta ed a episodi di ragazzi che venivano picchia ti , segregati e -legati.
Ciò è sufficiente per affermare che te stata realizzata, nella specie, una pluralità di anioni confluente in un unica condotta sistematica e abituale diretta ad imporre il rispettose! le regole della comunità che si identificavano poi, nelle regole del Muccioli. Il rilievo infine che, considerata la notevole popolazione di S. Patrigna no, le azioni lesive abbiano in sostanza offeso un numero' limitativo di persone, non deve indurre a ritenere l'insussistenza del reato.
Invero la condotta del Muccioli e dei Suoi operatori era-diretta, sia pur a mezzo dell'uso' non completamente generalizzato di atti materiali di sopraffazione, a creare un clima di soggezione psicologica tra i vari ospiti della comunità, così da rendere per molti di essi indiscutibilmente afflittivo sia il rapporto con i responsabili della comunità1, sii. La loro personale condizione di vita. La difesa, in linea subordinata, ha prospettato la tesi secondo la quale nel caso di specie, sussisterebbe semmai, il reato di cui all'art. 571 C.P. e cioè dell'abu so dei mezzi di correzione e di disciplina.
Il Tribunale sa che, secondo1la giurisprudenza e la più qualificata dottrina (cfr. per questa Manzini "Trattato" e Pisapia "Delitti contro la famiglia"), il reato di cui all'art. 571 (il quale ha come presupposto un rapporto disciplinare fra" il sog getto passivo ed il soggetto attivo) richiede, come elemento materiale, l'eccesso nell'uso di mezzi giuridicamente leciti' per cui l'azione posta i in essere dall'agente deve trascendere i limiti dell'uso lecito e consentito di un potere correttivo e disciplinare.
E1 quindi di tutta evidenza che, anche a seguito dell'evoluzione del diritto in vir tù dei principi dettati dalla Costituzione, deve considerarsi definitivamente ban dito dall'ambito di ogni consorzio umano e di ogni collettività, sia pure ordinata gerarchicamente, l'uso di mezzi correttivi e di disciplina che trasmodino in violazioni della incolumità personale e in una condotta mortificatrice della dignità umana. Di/conseguenza, non può non ritenersi sussistente la ipotesi di cui all'art. 572 nell'uso dicatene in danno di persone peraltro già ristrette illecitamente, e in condizioni assolutamente degradanti così come è avvenuto per Bargiotti, per Co sti, per Sola, per Rubini e per tutti gli altri che, allibito del Muccioli dovet tero trascorrere più giorni chiusi in botti od in celle od cin altri luoghi di se gregazione, in quanto tali fatti altri non sono che espressione di un regresso inammissibile in situazioni di arbitrio individuale. Così dicasi per la violenze fisi che, che, al di fuori delle ipotesi di banali, innocue, occasionali persone, han no provocato vere e proprie lesioni clinicamente accertate.
Tra il delitto di maltrattamenti, e quello di sequestro di persona sussiste, ovvia mente, il vincolo della continuazione ed il reato più grave ai fini del computo della pena è senz'altro quello di cui all'art. 605 C.P.
Al Muccioli e agli altri imputati possono certamente concedersi le attenuanti generiche. Invero il Tribunale, pur nella riscontrata illiceità di talune condotte, non può non tenere conto dei risultati conseguiti d alici Comunità di/S. Patrignano. Tale istituzione si è rivelata, per quanto già visto, particolarmente funzionale ed efficiente specie nelle attività lavorative che vi sono state intraprese. Le strutture delle, varie branche di produzione, che ascendono d oltre trenta, sono apparse di assoluta imponenza, tanto che la Cooperativa, più che una comunità te rapeutica, potrebbe ben essere definita "una vera e propria industria della te rapia antitossicomane". Un numero apprezzabile di/giovani, che però non è stato .possibile precisare con sicurezza, ha recuperato dopo la permanenza a S.Patrignano, secondo il deposto dei testi a difesa, le proprie risorse personali per af frontare nuovamente la vita. Altri hanno ultimato gli studi anche universitari e tali casi, anche se presentati orgogliosamente dal Muccioli come "un prodotto finito", non possono certamente essere ignorati.
A:ciò si aggiunga il fatto di grande rilievo costituito dalla speranza suscitata in tante famiglie ed in tanti giovani che si sono rivolti a S.Patrignano, pur ignorandone le deficienze, con un'ansia ed un'aspettativa che costituiscono già di per sé, in molti casi, il primo passo per un futuro reinserimento nella società, la comminazione della pena, nonostante la gravita dei fatti accertati, e proprio per le ragioni che hanno giustificato la concessione delle attenuanti generiche, deve essere, a- parere del Tribunale, particolarmente mite e commisurata a tutto 1'insieme del la vicenda.

Certamente il Muccioli, per la sua qualità di fondatore e animatore della Coope rativa, per il ruolo che egli ha assunto in tutta la vicenda e che ha costantemente difeso con la sua inesauribile capacità di stare sulla scena, (e che, in de finitiva, si traduce in un'ammissione di maggiori responsabilità) deve essere inflitta una pena più grave di quella irrogata agli altri imputati. Muovendo dalla pene base di anni uno: mesi quattro di reclusione aumentata di me si quattro per la continuazione, appare dunque equo infliggere in concreto al Muccioli la pena di anni uno e mesi otto di reclusione.
Al Canini poi deve essere interrogata una pena diversa e maggiorai quella degli altri imputati. Non può invero trascurarsi che egli fu in effetti il. "sovrinten dente alle catene" di cui per sua ammissione tenne costantemente le chiavi. Egli partecipò a'Ctbtti gli episodi di segregazione, e pressoché a tutti i casi di cattura, anche violenta dei fuggiaschi. Fu anche il persecutore del povero Bargiotti contro il quale si accani più volte con reiterate percosse ed a cui, mentre era prigioniero nel canile, inferse il colpo che provocò allo sventurato una grave ferita alla mano.
Considerando pertanto quale pena base quella di anni uno, aumentata di mesi quat tro per la continuazione, è giusto irrogare al Canini la pena complessiva di aironi uno e mesi quattro di reclusione. A ciascuno degli altri imputati ritiene il Tribunale di comminare la pena complessiva di anni uno e mesi due di reclusione (pena base mesi otto aumentata di mesi quattro per la continuazione). A tutti, ad eccezione di Villa Mauro e Di Lauro Paolo che sono pregiudicati, ricorrendone le condizione, può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Prima di passare all'esame degli altri reati contestati agii imputati occorre fare un breve cenno alla ordinanza del G.I. in data 26 gennaio 1983 che a giudi zio del Tribunale deve essere dichiarata nulla.
Con tale provvedimento, emesso dopo il deposito della perizia di ufficio e sulla base della constatazione che nella comunità avveniva "una sorta di risocializza zione in un'altra dipendenza, cioè nella dipendenza dalla comunità" fu disposto per S.Patrignano il blocco delle assunzioni di nuovi ospiti. Copia dell'ordinanza fu trasmessa anche agli uffici giudiziari del distretto. Il provvedimento, per il vero, fu però nella sostanza disatteso sia dal Muccioli, che accolse nuovi ospiti, sia da molti magistrati che disposero l'assegnazione a S.Patrignano di tossicodipendenti con obbligo di soggiorno a seguito di con cessione di libertà provvisoria o di arresti domiciliari.
Detta ordinanza non si inquadra però nelle facoltà e nei poteri concessi dalla legge al giudice istruttore. Invero essa è stata giustificata quale provvedi mento a tutela degli ospiti della comunità nell'ambito del potere dovere attri buito al giudice (ai sensi degli artt. 219 C.P.P. e 140 C.P.)di impedire che i reati venissero portati ad ulteriori conseguenze o che fossero reiterate condot te illecite già incriminate. La funzione del giudice istruttore, essenzialmente giurisdizionale (artt.299, la parte) non può essere assimilata quella di un ufficiale di polizia giudiziaria, o di un accusatore, avendo egli l'obbligo di compiere imparzialmente tut ti e soltanto quegli atti che, in base agli elementi raccolti e allo svolgimen to dell'istruzione, appaiono necessari per l'accertamento della verità. Pertanto non appare esattamente invocata la norma di cui all'art. 219 C.P., e, in ogni caso, non si vede quale coerenza giuridica possa riconoscersi in un provvedimento che da un lato vieta l'accoglimento di nuovi tossicodipendenti perché esposti a gravi pe ricoli per la loro libertà ed integrità fisica e dall'altro consente che tali pe ricoli possano incombere sugli ospiti che già si trovano in comunità. La misura adottata non rientra nemmeno tra i poteri concessi dalla legge ai sensi dell'art.140 C.P, del Codice Penale al Giudice Istruttore.
L'applicazione provvisoria delle pene accessorie si fonda sulla necessità di evi tare, in determini casi, il pericolo derivante dalla continuazione di una professione o di un'arte, ma vigendo però, in detta materia i principi della tassati-vita e della riserva di legge, essa postula la esistenza dei presupposti di una delle pene accessorie tipiche previste dal Codice Penale.
Ora, avendo il Muccioli svolto la sua attività terapeutica in S. Patrignano esclu sivamente in base alla propria iniziativa personale e al di fuori di qualunque au torizzazione od ufficio riconosciutigli o comunque a lui conferitola la legge, ne deriva che, nel caso di specie non possa trovare applicazione alcuna delle pene previste dall 'art.28 e seguenti del C.P.
Tuttavia, e anche a voler prescindere da queste considerazioni che sono pregiudi ziali ed assorbenti, il provvedimento del giudice istruttore non può sicuramente essere condiviso nemmeno nel merito.
Esso come si è detto si fonda sul presupposto che la comunità di S.Patrignano per le sue caratteristiche e per la sua strutturazione, abbia ingenerato negli ospiti, in luogo della dipendenza da sostanze stupefacenti, una sorta di altra dipendenza e cioè quella da comunità.
Il fenomeno, constatato dai periti di ufficio, è però tutt'altro che infrequente ed insolito, in quanto è riscontrato di sovente in quasi tutte le comunità terapeu-tiche di tipo chiuso o comunque fortemente ideologizzato, nelle quali, in realtà, la dipendenza fisica o psichica della droga è sostituita con una nuova dipendenza solamente psichica dalla istituzione o dalla ideologia o al limite dalla persona lità di individui operanti all'interno della Comunità.

E' certo che un buon programma terapeutico dovrebbe comportare un successivo su peramento anche di tale fase con la riacquisizione per il tossicomane di uno sta to di totale indipendenza. Comunque deve anche considerarsi che il completo reinserimento sociale del malato è sempre in relazione alla origine e al grado di assuefazione alla droga e che, conseguentemente, in alcuni casi, la dipendenza psicologica da gruppo può mantenersi unilaterale e totalizzante per molto tempo.
La letteratura (cfr. per tutti M.Barra "Tecniche di recupero"; M.Picchi; "Intervi sta sull'uomo e sulla droga", già citati; Andreoli-Maffei-Tamburino "II Ciclo del la droga". Ed. scientifiche e tecniche Mondadori; e Adel Segre - Zucca Alessandrelli "Comunità terapeutiche in Europa") è del resto unanime nel riconoscere la ricorrenza di tale fenomeno, ma è anche sostanzialmente concorde nel ritenere che il medesimo costituisce una eventualità, talvolta inevitabile e comunque preferi bile a quello più devastante costituita dalla assuefazione alla droga. Venendo all'esame dei reati minori, l'azione penale deve essere dichiarata improce dibile per difetto di querela in ordine ai reati di cui ai capi D) e N) della ru brica ascritti rispettivamente agli imputati Muccioli Vincenzo, Canini Giulio, Bernardi e Bertoni Gabriele. A tutti è stato ascritto il reato di esercizio .abusivo della professione medica (lettera e, L, O, R); al Muccioli anche quelli di truffa aggravata e di abuso del la credulità popolare (lett. G,H); aljCanini infine di lesioni in danno della moglie Tusino Maria (e per il quale è stata proposta querela) e di violazione degli obblighi di assistenza familiare (lett. E,F).
Tutti tali reati devono dichiarati est intimar amnistia ivi compreso quello .di truffa, in ordine al quale non sussiste l'aggravante di cui allo art. 61 n. 7 enun ciata solamente nel nomen iurrs; senza peraltro alcun riferimento materiale alla entità concreta del danno.
Sennonché, avendo gli imputati, al dibattimento, richiesto f crinalmente la assolu zione ""con formula piena, il Tribunale non può esimersi dalla relativa disamina, in quanto l'applicazione dell'amnistia è esclusa soltanto dall'evidenza delle pro ve della insussistenza del fatto e della colpevolezza dell'imputato. In ordine al reato di esercizio abusivo della professione medica, si osserva che è assolutamente pacifico in atti, che il Muccioli e gli altri operatori -della Co munità di S.Patrignano, somministrarono ai loro ospiti, al fine di curarli, in più occasioni, infusi di erbe, praticarono massaggi con essenza di zafferano (che ha proprietà miorila^a nti), esercitarono l'agopuntura e la pranoterapia, attività queste che, essendo state tutte precedute da un giudizio diagnostico emesso da parte degli stessi imputati, concretano indubbiamente il reato di cui all'art. 348 C.P.(cfr.' Cass: 11.10.1956 in Giust. Pen. 1957, II, 99, e 24.1.1970 in Giust. Pen. 1971,11,236).
Con il reato-:di truffa, di cui alla lettera G) si addebita al Muccioli, di avere ottenuto prestazioni di lavoro nella sua vigna di S.Patrignano e nelle altre strut ture di tale azienda nonché esborsi di':danarcr.(.che a suo dire dovevano destinar si a beneficenza) dagli appartenenti alla comunità "Il Cenacolo", con il raggiro di presentarsi come "medium1,1 mostrando delle "stigmate" e "tramutando l'acqua in vino". Identica condotta è contestata quanto al reato di abuso della credulità popolare. La difesa ha minimizzato tutti questi episodi, ridicolizzandoli e definendoli il • frutto . della fantasia di alcuni detrattori dell'imputato, ma i fatti invece sono stati obbiettivamente provati, per cui può affermarsi che, se il Muccioli : non attinse, forse, con il suo comportamento i limiti dell'esorcismo, sconfinò senz’altro nella più aperta impostura. Le sedute medianiche furono effettivamente tenute a partire dal 1976 e sino al 19ÌZ8 nell 'ambito' della comunità "II Cenacolo" che svolse la sua attività, come si è già visto in narrativa, prima in Rimini in di sulla collina di S.Patrignano e io stesso Muccioli lo ha ammesso in istruttoria (v.f.57 e segg.). I verbali di tali sedute, che furono dapprima registrate e quin di trascritte, (vedi deposizione di Saviotti Gabriella Monti al dibattimento e per ulteriori riferimenti i fogli 91,322, 323 del fascicolo 137/80) occupane un inte ro faldone, il quarto, dell'incarto processuale.
Dalla lettura delle trascrizioni emerge a chiare lettere, come il Muccioli, avva lendosi della sua non comune capacità di suggestione e qualificandosi come medium, approfittò: dell'ignoranza e della altrui superstizione. La riprova si ricava dal tenore delle sedute, il cui linguaggio e l'oggetto degli argomenti trattati risultano mutuati, in larghissima parte -, da una raccolta di dettati medianici contenuta in un'opera di tre volumi "Scintille dall'infinito" edita, per la prima volta, nel 1965 a cura della casa "II Cenacolo" di Milano. In tale pubblicazione sono innanzitutto frequenti e ripetuti gli accenni al "Raggio Cristico", entità, peraltro, a nome della quale l'imputato costantemente diceva di parlare ai suoi adepti. Gli argomenti delle sedute sono poi gli stessi riferiti nell'opera. Basterà ricor dare quelli relativi agli extraterrestri (pag. 231 del III0 volume i e oggetto delle sedute del 30 aprile e del 2 maggio 1976); al La colob-(pag. 397 e seduta del 27 settembre 1978); quella sulla Monade (pag. 379 dell'opera e sedute 6.9.1978, 30 ottobre e 3 novembre del 1976) ed infine le altre sul "Limite e le Biotesi", sul la pazzia, sulla Pasqua, sull'Apocalisse, sulla "Legge, sul Karma e sull'arbitrio", sul cancro e sul malocchio che contengono impressionanti analogie e sorprendente somiglianza con gli stessi argomenti trattati dal Muccioli quale medium.  Per rafforzare l'altrui convincimento nei suoi poteri extrasensoriali e parapsico logici egli non esitò più volte a presentarsi recando le stigmate sui palmi delle mani. La circostanza è stata riferita dal teste Camosetti, sia nelle sue denunce che al dibattimento, dal Pieri Guerrino. (ff. 64,65 del fascicolo 9519 e al dibat timento) dal Grossi Lino che, addirittura, ha detto di avere visto il Muccioli pra ticarsi prima di una seduta medianica, dei piccoli graffi all'interno delle mani con un trincetto da pellicciaio (v.f. 324 fase. 137/80 e al dibattimento). Una conferma delle stigmate, è stato poi fornita del tutto spontaneamente da un teste insospettabile al dibattimento. Si tratta del Maresciallo di Pubblica Sicu rezza Di eretico Antonio, che all'udienza del 20 novembre 1984, interrogato sui particolari della irruzione della polizia del 28 ottobre 1980, senza essere solle citato, ha fatto presente al Tribunale di avere partecipato nel passato, a sedute medianiche tenute dal Muccioli e di avere così appreso da altri che, l'imputato, in precedente analoga occasione, aveva mostrato agli astanti le sue mani insangui nate ; Ma il raggiro raggiunse livelli assolutamente grotteschi nell'episodio dell’acqua tramutata in 'vino". Il fatto è stato narrato, con chiarezza di espressioni e senza alcuna esitazione, dai testi Camosetti, Pieri e Fattori che hanno ricor dato come il giorno a tavola, prima di mangiare, videro il; Muccioli, ad un trat to, imporre le mani su una brocca piena d'acqua proferendo le parole di .chiaro riferimento evangelico "Prendete e bevete". L'acqua poi versata nei vari bicchie ri, apparve del colore del vino e assaggiata, si rivelò di un sapore "fragoleto", il che suscitò do stupore e la meraviglia di tutti gli astanti. Non occorre a questo punto uno sforzo soverchio per immaginare come molti degli adepti, convinti da tali episodi apparentemente soprannaturali, si decisero a versare offerte in denaro e a prestare la propria opera nella vigna del Muccioli e da questo denominata, "la vigna del Signore".
Una tale condotta diretta ad un fine patrimoniale integra il delitto di truffa che deve essere però dichiarato estinto per amnistia. Il reato di abuso della credulità popolare invece non sussiste perché l'impostura praticata dal Muccioli difetta della condizione della pubblicità espressamente dalla legge.
Il Canini Giulio ha commesso i fatti contestatigli .Stile lettere B) ed E) della rubrica: egli infatti come si ricava dalle denunce e dalle deposizioni della moglie Tusino Maria Teresa abbandonò la sua famiglia lasciandola nell'indigenza, e alle proteste della Tusino la percosse cagionandole lesioni guarite in giorni 12. Anche tali reati devono essere dichiarati estinti per amnistia.

P.Q.M. Visti gli articoli 433 e 483 C.P.P.,

DICHIARA

Muccioli Vincenzo, Cacciatore Adriano, Canini Giulio, Pugliese Antonio, Villa Mauro: Bernardi Alberto, Lotti Egidio, Poma Carlo, Di Lauro Paolo, Ghiotti Marino, Palmie ri Antonio, Giannatempo Francesco, Scozzari Angelo e Bertoni Gabriele colpevoli dei delitti loro rispettivamente ascritti ai capi A), B), I), M), P), e Q), nonché del delitto di sequestro di persona in danno di Bargiotti Leonardo, Tenan Maurizio, Pa-trignani Ambra, Melodia Alessandro e Casarini Monica e, concesse a tutti le atte nuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, ritenuta la continuazione,


CONDANNA

Muccioli Vincenzo alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione; Canini Giulio alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione; Cacciatore Adriano, Pugliese Antonio, Villa Mauro, Bernardi Alberto, Lotti Egidio, Poma Carlo, Di Lauro Paolo, Ghiotti Marino, Palmieri Antonio, Giannatempo Francesco, Scozzari Angelo e Bertoni Gabriele alla pena di anni uno e mesi due di reclusione oltre che tutti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quelle proprie di custodia caute lare. Pena sospesa per tutti ad eccezione di Villa Mauro e Di Lauro Paolo alle condizioni di legge; Visto l'art. 479 C.P.P.,


ASSOLVE

Muccioli Vincenzo dal reato sub H) perché il fatto non sussiste e tutti gli impu tati dal reato di sequestro di persona in danno di tali Sergio, Perla, Elisabetta, Danilo, Betta e Sonia per insufficienza di prove.

DICHIARA

Non doversi procedere a carico di Muccioli Vincenzo, Canini Giulio, Bernardi Al berto e Bertoni Gabriele in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti ai capi D) ed N) per mancanza di querela. Visto il D.P.R. 18.12.1981 n.744,

DICHIARA

Non doversi procedere nei confronti di Muccioli Vincenzo, Cacciatore Adriano, Cani ni Giulio, Pugliese Antonio, Villa Mauro, Bernardi Alberto, Lotti Egidio, Poma Car lo, Di Lauro, Paolo, Ghiotti Marino, Palmieri Antonio, Giannatempo Francesco, Scoz zari Angelo, e Bertoni Gabriele per essere i reati loro rispettivamente ascritti ai capi C), E), F), G), esclusa per tale imputazione l'aggravante di cui all'art. 61 n.7 C.P., L), 0), ed R) estinti per amistia.

DICHIARA

La nullità dell'ordinanza del Giudice Istruttore in data 26 gennaio

RIMIMI LP, 16 FEBBRAIO 1985.
 IL PRESIDENTE


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